Tra violenti temporali, incendi e ondate di calore, la crisi climatica ci sta dimostrando tutta la sua potenza, con cataclismi che fanno notizia causando decessi, macerie e povertà. Per rendere l’idea, secondo Eurostat, nell’ultimo decennio i danni del climate change sono costati centoquarantacinque miliardi di euro ai Paesi dell’Unione europea. Grecia, Francia, Finlandia e Italia sono gli Stati membri più colpiti economicamente. Il conto, dunque, è salato anche per quei Paesi che, ormai solo sulla carta, sono dotati degli strumenti e delle risorse per reagire a un disastro naturale.
Dall’inizio dell’anno abbiamo assistito a un ciclone senza precedenti nel sud-est dell’Africa, incendi boschivi in Sicilia, Calabria, Grecia, Cile e Canada, insopportabili ondate di calore in tutta l’Asia, inondazioni in India e Giappone, potenti tempeste e alluvioni negli Stati Uniti e in Europa (le ultime in Slovenia) e in Italia.
Questi eventi non fanno altro che evidenziare un fatto inequivocabile: la crisi climatica è qui e ora. E non riguarda più solo i Paesi più vulnerabili ed esposti agli eventi estremi, come gli Stati insulari dell’oceania o alcune zone dell’Africa e del Sudamerica. L’emergenza in corso non rende solo i disastri naturali più violenti e intensi, ma impatta sulla loro frequenza. Anche in quei luoghi del mondo in cui prima raramente si verificavano.
Lo conferma anche una ricerca pubblicata sulla rivista Nature climate change, secondo cui gli impatti antropogenici del cambiamento climatico hanno colpito l’ottanta per cento della superficie terrestre, dove risiede circa l’ottantacinque per cento della popolazione globale, che ha sperimentato sulla propria pelle gli effetti di questi cataclismi.
«Abbiamo ora una vasta base di prove che documenta come il cambiamento climatico sta influenzando le nostre società e i nostri ecosistemi», ha dichiarato l’autore principale dello studio, Max Callaghan, ricercatore presso il Mercator research institute on global commons and climate change. Il cambiamento climatico, ha aggiunto Callaghan, «è visibile ed evidente praticamente ovunque nel mondo».
Ogni area della Terra è sottoposta ai rischi dovuti al riscaldamento globale di origine antropica, compresi quei luoghi che sembravano più protetti e resilienti. È un assaggio del futuro che verrà.
Gli scienziati hanno da tempo avvertito che il cambiamento climatico renderà questi disastri sempre più intensi e frequenti. E la situazione, ormai, pare destinata solo a peggiorare. Nel rapporto pubblicato a marzo dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), gli esperti hanno scritto che – al nostro attuale tasso di inerzia collettiva contro la crisi climatica – il mondo potrebbe trovarsi di fronte a un aumento della temperatura media di 1,5 gradi entro i primi anni del 2030. Un obiettivo che, come ribadito di recente dal nuovo capo dell’Ipcc, Jim Skea, sfumerà con ogni probabilità.
Anche se un aumento di pochi gradi potrebbe, per qualcuno, sembrare irrilevante, gli scienziati continuano a sottolineare i rischi di questa situazione (che, in parte, stiamo già sperimentando). Ci attende un mondo diverso, «più pericoloso e conflittuale» (come ha detto Skea): bisogna pensare alle soluzioni necessarie per galleggiare in questa nuova realtà.
Ma se c’è una cosa che i recenti eventi meteorologici estremi in Europa e Nord America, così come in Asia e in altre parti del mondo, hanno messo in evidenza, è che la Terra nel suo insieme non è sufficientemente preparata a fermare, o rallentare, cambiamento climatico. Men che meno a convivere con esso.
I cataclismi di questi mesi si sono verificati dopo anni e anni di trascuratezza nei confronti della scienza da parte di individui e policy makers. Ecco, allora, che il senso di speranza che nutriamo segretamente per un futuro migliore si fa ancora più precario. E nonostante l’impegno dei governi e delle organizzazioni sovranazionali, le emissioni globali continuano complessivamente ad aumentare. Ciò significa che spesso si tratta solo di parole e promesse poco concrete. Non a caso, al momento ci sono quarantasette Nazioni che stanno sviluppando nuovi progetti nell’oil&gas.
Se vogliamo evitare il peggio, e provare a invertire la rotta, dobbiamo agire in modo serio e rapido. Un appello ovviamente rivolto ai governi e alle industrie fossili, ma anche ai singoli cittadini. Sarà necessaria una trasformazione quasi totale di tutti i sistemi produttivi che hanno dato origine al cambiamento climatico: dal settore dell’energia a quello dei trasporti, dall’agricoltura all’industria, dalle abitazioni alle infrastrutture. Una rivoluzione che in parte sta già avvenendo, ma in modo frammentato e poco deciso.
Non possiamo annullare gli errori del passato. Ma possiamo pretendere che i leader politici e imprenditoriali, così come la nostra generazione di cittadini consapevoli, agisca con determinazione e coerenza per affrontare questa emergenza e dare un futuro alle prossime generazioni.