Compattezza necessaria La dichiarazione di Nairobi e l’urlo collettivo dell’Africa in vista della Cop28

I Paesi africani chiedono all’occidente più fiducia nei loro progetti sulle rinnovabili, una tassazione globale del carbonio e investimenti per permettere alla transizione verde di entrare nel vivo. Il documento finale, approvato al termine di un summit presieduto da William Ruto, è il primo passo verso una coesione essenziale nella diplomazia climatica

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Potenzialità enormi, ma pochi investimenti stranieri che tengano conto del benessere delle comunità locali e dell’ambiente circostante. È la storia senza fine del continente africano, che anno dopo anno viene spremuto per arricchire l’occidente o la Cina, consapevole dell’importanza di questo territorio nel quadro della geopolitica delle terre rare (essenziali per le tecnologie della transizione energetica). L’emergenza climatica, però, sta prepotentemente dimostrando quanto sia decisivo un approccio globale e coordinato, perché il Pianeta è uno. Anche se non siamo tutti sulla stessa barca. 

L’Africa è il continente meno responsabile (produce circa il quattro per cento delle emissioni) ma più colpito dagli effetti del riscaldamento globale di origine antropica. E qui tornano i temi della giustizia e della finanza climatiche, due nodi che spesso sembrano impossibili da sciogliere. Chi deve risarcire i Paesi più poveri e minacciati da questa crisi così pervasiva? A quanto ammonta la cifra? Come e quando dovrebbe arrivare a destinazione? Sono tutte domande senza risposta: il meccanismo del Loss and damage – perdite e danni – non ha ancora una forma e la Cop28 è sempre più vicina. 

L’Africa si sviluppa su una superficie di trenta milioni chilometri quadrati, ospita cinquantaquattro Stati e ha una popolazione (1,2 miliardi) destinata a raddoppiare nei prossimi trent’anni. A sud del Sahara, circa seicento milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. Tra flussi migratori, fenomeni siccitosi, eventi climatici estremi, insicurezza alimentare, guerre, terrorismo e instabilità politica, capirete bene quanto sia difficile rendere il continente un grande megafono nelle dinamiche della diplomazia climatica. 

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), l’Africa vanta il sessanta per cento delle migliori risorse solari al mondo, ma raccoglie solo il tre per cento degli investimenti energetici su scala globale. Come ricordano William Ruto (presidente del Kenya) e Fatih Birol (direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia) in un articolo a quattro mani su Project Syndicate, il territorio africano ha all’incirca la stessa capacità fotovoltaica installata del Belgio. 

A Nairobi (Kenya), durante il primo Africa climate summit della storia (4-6 settembre), i leader della maggior parte delle Nazioni africane hanno chiesto fiducia e soldi per spingere la transizione energetica e sfruttare le risorse che albergano nei loro territori. Gli Stati occidentali ritengono rischiosi gli investimenti nelle rinnovabili africane, e l’obiettivo dell’incontro era rendere il continente più attrattivo per le aziende e i Paesi americani, asiatici o europei che operano nel campo delle energie pulite. 

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Il Kenya, ad esempio, vuole decarbonizzare totalmente il suo sistema energetico entro il 2030. Una promessa che dice molto sul potenziale (ancora inespresso) di questo territorio. Dall’altra parte, però, ci sono Stati – Senegal, Nigeria, Angola e non solo – che non vogliono e non possono rinunciare alle loro grandi riserve di gas e petrolio. Interessi diversi che minano la coesione africana nella lotta al climate change.

In ogni caso, il continente non ha le risorse per crescere nel campo delle rinnovabili. E queste risorse, seguendo i principi della giustizia climatica, dovrebbero arrivare dalle casse dei Paesi che, essendo più ricchi e industrializzati, hanno un impatto climatico maggiore. L’Africa necessita di almeno duecentocinquanta miliardi di dollari annui di investimenti privati e aiuti esteri per affrontare la sfida climatica. Attualmente, però, ne riceve solo il dodici per cento, stando ai calcoli del think tank statunitense Climate policy initiative. In più, le promesse sui cento miliardi annui ai Paesi più poveri entro il 2020 non sono state rispettate. 

Al summit, organizzato durante l’Africa climate week, ha partecipato anche Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni unite. Presenti per l’Italia il nuovo inviato speciale per il Cambiamento climatico, il professor Francesco Corvaro, e il sottosegretario all’Ambiente e alla Sicurezza energetica, Claudio Barbaro. In generale, l’evento ha ospitato circa trentamila accreditati provenienti da centotrentasei Paesi.

«Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha in piedi un programma di cooperazione estremamente intenso che mette al centro il continente africano. A livello globale, sono stati approvati progetti per un totale di oltre centoventi milioni di euro a fondo perduto. Questi interventi, sia bilaterali che multilaterali, hanno dimostrato un impatto significativo nel supporto alla mitigazione dei cambiamenti climatici, all’accesso all’energia pulita e alla conservazione delle risorse naturali», ha detto Barbaro. 

La tre giorni si è chiusa positivamente grazie all’approvazione unanime della dichiarazione di Nairobi, fondamentale soprattutto in vista della Cop28 di Dubai (30 novembre-12 dicembre). Un’Africa compatta nelle sedi diplomatiche sarebbe un segnale incoraggiante per tutto il mondo. Nel documento è presente l’ambizioso intento di aumentare – su scala continentale – la capacità rinnovabile da cinquantasei gigawatt (dato del 2022) a trecento gigawatt entro il 2030, «sia per affrontare la povertà energetica, sia per rafforzare la fornitura globale di energia pulita ed economicamente vantaggiosa per le industrie».

Per farcela, i leader politici dei paesi africani – guidati dal presidente del Kenya, William Ruto – hanno definito uno stanziamento di ventitré miliardi di dollari «per la crescita verde, la mitigazione e gli sforzi di adattamento» alla crisi climatica. Questi soldi saranno destinati a nuovi impianti solari, progetti di riforestazione e iniziative nel mercato dei permessi di emissione di anidride carbonica. 

«La dichiarazione di Nairobi, che oggi presentiamo al mondo, definisce e amplifica la posizione africana nell’azione per il clima. Inoltre, stabilisce gli aspetti fondamentali di cui la comunità internazionale dovrebbe occuparsi per unire gli obiettivi ecologici a quelli economici, che devono essere raggiunti in modo coerente e sostenibile», ha spiegato Ruto. 

La finanza climatica è stata una delle questioni più calde del summit. Nella dichiarazione di Nairobi, infatti, spicca la proposta di «una nuova architettura di finanziamento adatta alle esigenze dell’Africa», che si basi «sulla ristrutturazione e l’alleggerimento del debito che pesa gravemente» sulle economie del continente. Il documento parla di un «regime di carbon tax (una sorta di ecotassa che regola le emissioni di CO2, ndr) globale, in grado di «istituire un’imposta sul commercio dei combustibili fossili, sull’aviazione e sui trasporti marittimi». L’attuazione di questa misura, secondo i leader africani, garantirebbe finanziamenti su larga scala per il clima e proteggerebbe i Paesi più poveri dalle fluttuazioni dei prezzi energetici, spesso oscillanti a causa delle dinamiche geopolitiche e delle politiche nazionali. 

«Credo che fissare un prezzo per le emissioni di carbonio sia uno degli strumenti più efficienti ed efficaci a nostra disposizione perché favorisce l’innovazione da parte del settore privato e fa sì che i grandi inquinatori paghino un prezzo equo. E perché le entrate possono sostenere la transizione pulita nei Paesi in via di sviluppo. Lavoriamo insieme e presentiamo una proposta per la tariffazione globale del carbonio alla Cop28», ha detto il 5 settembre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. 

In questo quadro, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un investimento da 4,5 miliardi di dollari in progetti di energia pulita in Africa. Un’operazione possibile grazie ai crediti di carbonio che Abu Dhabi acquisterà tramite la non-profit “African carbon markets initiative”. In più, John Kerry, inviato speciale presidenziale degli Stati Uniti per il clima, ha promesso che Washington stanzierà trenta milioni aggiuntivi per rendere il sistema alimentare africano più resiliente al riscaldamento globale.

Il vertice si è concentrato poco sulle strategie per l’adattamento al cambiamento climatico, e in generale i Paesi africani si sono mostrati comprensibilmente frustrati a causa della carenza di investimenti occidentali. Il bilancio rimane però positivo, in attesa di una eventuale conferma a Dubai durante il ventottesimo vertice dell’Onu sul clima. 

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