Ana Blandiana è una protagonista della cultura rumena ed europea e nel corso del tempo è riuscita a portare avanti una ricerca che fonde pubblico e privato, vocazione sociale e civile con un percorso interiore mai scontato. In Italia la sua opera è valorizzata dalla casa editrice Donzelli, che nella collana di poesia ha recentemente pubblicato “Variazioni su un tema dato” (con la curatela di Bruno Mazzoni). La poesia di Blandiana è un salto profondo dentro la solitudine e la lotta, dentro un perimetro in cui la felicità non appare perduta ma vive in piccoli anfratti di percezioni, suoni, odori e ricordi. Una televisione accesa dentro un salone è un faro sulla memoria, un abito diventa un dizionario che racconta una lingua di inappartenenza, una consolazione materica che rende ogni oggetto parte della storia. Ma Ana Blandiana fa della poesia materia di rivendicazione che riesce a rendere abitata una distanza tra attesa e lotta, tra passato e presente. Nel dialogare con lei partiamo dal passato, dal 1975, quando Eugenio Montale si domandava appena ricevuto il Premio Nobel: «È ancora possibile la poesia?».
Ana, in questa società così crossmediale, distrattamente feroce, che ruolo ricopre il verso, il sistema poetico?
Al quesito di Montale la mia risposta è sì, aggiungerò qui che qualche anno fa all’Università di Sofia, in Bulgaria, ho tenuto una conferenza che è diventata virale su Facebook con un titolo che è ancora una domanda: “Può la poesia salvare il mondo?”, dove, a sostegno della mia risposta affermativa, portavo alcuni esempi della storia contemporanea in cui, in assenza di speranza, la gente è tornata alla poesia come a una possibile forma di salvezza. Tra questi esempi il più convincente è quello dato dalle migliaia di componimenti composti nelle prigioni comuniste della Romania, senza avere a disposizione né carta né penna e trasmessi in alfabeto Morse attraverso le pareti delle celle.
La sua poesia è carica di oggetti quotidiani, di stanze, di assenze colmate da un’antimateria che rende i versi organi vitali, ragioni pratiche di sopravvivenza. Sembra reagire al silenzio e alla morte superando confini. Quanto questa intimità è figlia della voglia di lottare per la libertà?
Proprio perché è in grado di non tenere conto delle frontiere (e nemmeno di quella tra vita e morte), l’amore è la forma suprema di libertà. Lottare per la sua felicità, anche al di là delle leggi della natura, significa lottare e optare per la libertà assoluta.
Il suo ruolo intellettuale l’ha vissuto sempre in prima linea contro la dittatura di Ceaușescu e contro le autocrazie. Come giudica lo stato di salute della democrazia?
Sono nata in una dittatura, il che mi ha obbligato – come scrittore – a utilizzare la mia voce contro di essa. Se fossi cresciuta in uno stato di diritto, in un mondo libero e socialmente giusto probabilmente mi sarebbe piaciuto vivere in cima a una montagna o su un’isola in mezzo al mare. Poiché però la principale materia prima dell’arte – e in particolare della poesia – è la sofferenza non potevo non rappresentare la sofferenza di tutti.
La sua opera e il suo impegno mi hanno portato a riflettere intorno a un concetto che lei non esplicita ma che contiene tutta la sua opera: la poesia è il nemico principale della dittatura e del populismo. Condivide questa considerazione?
Rispondo, riprendendo la risposta precedente: mi oppongo al populismo (che è diventato una minaccia globale) perché mi sembra naturale oppormi alla menzogna, alla manipolazione, alle post-verità, anche perché il populismo è in maniera logica la via più semplice e più diretta verso una dittatura. Giunti al potere mediante false verità loro non possono restare lì che imponendole con la forza.
Il futuro dell’Unione Europea si gioca a est. Il conflitto russo-ucraino è solo la punta dell’iceberg di una situazione che investe tutte le repubbliche ex sovietiche. Lei che ha visto crollare un regime pensa che quello di Putin sia vicino alla fine?
Così come le bestie feroci quando sono ferite sono ancora più pericolose, i tiranni sono più pericolosi quando si avvicina la perdita del potere. Fortunatamente, per quanto dura possa essere la repressione e impossibile la rivolta delle vittime, resta la soluzione, quando che avvenga, della morte naturale
C’è un verso che dedicherebbe al popolo ucraino e alla sua lotta coraggiosa?
Ho scritto, giusto all’inizio della guerra, un componimento che è apparso per la prima volta in inglese, quindi in romeno e in altre lingue romanze. È molto semplice e breve, lo dono ai vostri lettori e al popolo ucraino:
La mappa geografica
Non abbiamo sufficiente immaginazione
per vedere le loro ferite
sul nostro corpo,
né le loro lacrime
che scorrono sulle nostre guance.
Non siamo sufficientemente forti
per immaginarci come sarebbe
abbandonare la nostra vita
con una borsa a tracolla
e non trovare più
fra le macerie
la parola A CASA.
Lo sgomento soltanto riesce
a tenerci uniti nella stessa
camicia di forza,
ritagliata dalla mappa dell’Europa,
gualcita sempre nelle stesse pieghe
e lì lì sul punto di lacerarsi,
e pure resistendo.