Labour WeeklyDavvero la Cgil ha licenziato lo storico portavoce sfruttando il Jobs Act?

Anche prima dell’approvazione della riforma del lavoro renziana, salvo casi rarissimi, i dipendenti delle «organizzazioni di tendenza» come il sindacato non godevano delle tutele previste dall’arcinoto articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma avevano una protezione minima in caso di licenziamento illegittimo

Massimo Gibelli, storico portavoce della più grande organizzazione sindacale italiana, è stato licenziato lo scorso 4 luglio. Nel suo sfogo a mezzo stampa, ha fatto sapere che la Cgil ha deciso di terminare il suo rapporto di lavoro per ragioni oggettive, dopo oltre 40 anni di onorato servizio, esonerandolo anche dal periodo di preavviso. In altri termini, il sindacato avrebbe eliminato la posizione ricoperta da Gibelli e non avrebbe trovato nessun altro ruolo alternativo in cui poterlo reimpiegare. L’ex dipendente ha adito le vie legali contestando – tra le altre cose – l’utilizzo del tanto vituperato Jobs Act da parte del sindacato che si è opposto con più forza alla riforma voluta dal governo Renzi.

A questo punto, viene da chiedersi se la Cgil, dopo aver deciso di procedere con il licenziamento, avrebbe potuto evitare di applicare le norme previste dal Jobs Act. In tutta franchezza, credo che il sindacato non poteva fare altrimenti. L’articolo da cui nasce la polemica prevede che i dipendenti delle cosiddette «organizzazioni di tendenza» godono delle tutele contro i licenziamenti previste dal Jobs Act. Si definiscono organizzazioni di tendenza i «datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto». Un sindacato come la Cgil rientra pienamente nella definizione.

Anche prima dell’approvazione del Jobs Act, salvo casi rarissimi, i dipendenti delle organizzazioni di tendenza non godevano delle tutele previste dall’arcinoto articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma avevano una protezione minima in caso di licenziamento illegittimo. I datori di lavoro che perseguono un fine politico, sindacale o religioso hanno sempre avuto minori ostacoli per licenziare il personale.

In sostanza, oltre a essere una polemica tecnicamente traballante, è anche controintuitiva. Gibelli potrebbe infatti sostenere, con qualche speranza di vincere la causa, che essendo stato assunto prima dell’approvazione del Jobs Act, è necessario applicare la disciplina previgente. Il risultato concreto, tuttavia, potrebbe essere controproducente per le minori tutele applicate in caso di licenziamento illegittimo.

Preciso che queste brevi considerazioni derivano esclusivamente dalle poche e limitate informazioni in mio possesso. Non escludo che mi manchi qualche ulteriore tassello per completare il puzzle. D’altra parte, non escludo nemmeno che si tratti dell’ennesima polemica strumentale che ha l’unico effetto di polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica.

*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi