A nord est di Kyjiv, a cinquanta chilometri dal confine con la Bielorussia, c’è Chernihiv: una città ricca di attività culturali, ottimi ristoranti e prezzi convenienti dove i kyjivaiani amano trascorrere i weekend. Chernihiv è stata assediata e bombardata dai russi dal 24 febbraio al 4 aprile 2022, e poi ancora nell’agosto di quest’anno, un mese fa.
I russi hanno mirato e colpito edifici civili, biblioteche, impianti sportivi, teatri, con il loro tradizionale e delicato modo di esprimere amicizia e solidarietà al popolo fratello.
Questa è la storia plurisecolare dell’imperialismo russo, l’unico sulla faccia della terra mai redento, mai pentito, mai liberatosi del peccato originale. È come se l’Italia oggi pretendesse militarmente, politicamente e culturalmente di riprendersi l’Abissinia o la Libia o l’Albania, inquinando con fake news e infarcendo di agenti del caos una narrazione predatoria per convincere il resto del mondo che quelli sarebbero territori nostrani, che ci spetterebbero sin dai tempi dei romani e della grande tradizione culturale del Fascismo, e che gli abitanti delle ex colonie non avrebbero nessun diritto, nemmeno quello all’esistenza.
Questo è quello che succede ogni giorno in Ucraina da oltre un anno e mezzo, un classico armamentario di frottole culturali sull’amicizia e la fratellanza, “dalla Russia con amore” e altri crimini imperialisti che a Chernihiv hanno ucciso settecentocinquanta civili, senza contare gli anziani e i malati morti a causa della mancanza di assistenza, senza contare una lunga serie di suicidi, senza contare i soldati ucraini morti per difendere la città.
Chernihiv è una zona dell’Ucraina in cui si parla un misto di russo, di bielorusso e di ucraino, insomma uno di quei posti che secondo la propaganda del Cremlino, cui credono i fessi dei talk show italiani, qualche generale fellone e mezzo Parlamento, le armate di Putin avrebbero dovuto trovare rose e fiori al loro ingresso in città, in qualità di liberatori dal nazionalismo ucraino.
Maryna Knyr, direttrice della storica biblioteca della gioventù di Chernihiv, rifugiata della Crimea perché lì era perseguitata, parla russo, ma sta imparando l’ucraino e il suo oggi è un russo impastato di ucraino che più passano i giorni più perde le parole imperialiste e più conquista parole libere.
La biblioteca della gioventù si trova accanto allo stadio di Chernihiv, entrambe le strutture sono state devastate dai missili il 12 marzo 2022.
Tra le macerie prima della ingresso allo stadio c’è un pezzo di muro raffigurante il volto di Lenin: «È il destino giusto che si merita – dice Maryna Knyr – Non puoi sottrarti alla tua sorte, caro Lenin».
Maryna mostra l’edificio principale della biblioteca, già in via di ristrutturazione grazie a fondi privati americani, e poi i libri che sono stati salvati e accatastati nella palazzina ottocentesca di legno che si trova dall’altra parte della strada: «Nonostante tutto quello che avete visto, ci siamo rialzati dalle ginocchia e con tutte le libraie rimaste vive – dice Maryna non riuscendo a trattenere le lacrime – a novembre 2022 abbiamo rilanciato le attività perché ora c’è un disperato bisogno di recuperare lo spazio, i libri e noi stessi».
Le biblioteche colpite sono più d’una, come quella più centrale dedicata allo scrittore ucraino Mykhaylo Kotsyubynskyy, e i ragazzi straordinari del Pen Ukraine come Tetyana Teren, Maksym Sytnikov, Alim Aliev e tanti altri le visitano continuamente e le arricchiscono ogni volta di nuovi volumi.
In città ci sono edifici pubblici che dai bombardamenti russi hanno subìto danni equiparabili a quelli provocati dai nazisti durante seconda guerra mondiale. I sovietici, nel dopoguerra, li avevano ricostruiti e adesso i loro figli e nipoti russi hanno riportato a Chernihiv un annientamento uguale a quella nazista.
Nella piazza centrale c’è un grande teatro monumentale, il cui tetto è stato sventrato da un bombardamento russo un mese fa, il 19 agosto 2023. Altri sette morti, altri centoquarantaquattro feriti di cui quindici bambini.
In piazza non ci sono altri segni di questo ultimo bombardamento, se non una vetrata mantenuta a futura memoria ancora scheggiata nel favoloso ristorante tataro Sofra, la cui password per accedere al wi-fi è “Krym Nash”, “La Crimea è nostra”.
La gente si muove in monopattino come in una qualsiasi città europea, intorno alla piazza i giardini sono perfettamente curati, le rose profumate, i prati tagliati di fresco davanti alla chiesa barocca di Santa Caterina con le sue cinque cupole dorate opera dei cosacchi alla fine del Seicento.
Siamo in Europa, di fronte al teatro c’è un monumento ai caduti di Maidan uccisi perché difendevano il diritto di associarsi all’illuminismo europeo e di allontanarsi dalle tenebre russe.
Poco più avanti, in via Chornovola, la via dedicata al dissidente sovietico Vyacheslav Chornovil, eroe dell’Indipendenza ucraina, imprigionato nei lager russi e morto in un incidente stradale sospetto, c’è probabilmente il luogo simbolo di Chernihiv e dell’Ucraina di oggi.
Alle 12:17 del 3 marzo del 2022 sei bombe russe da mezzo quintale ciascuno hanno colpito due palazzi residenziali, un centro cardiologico e una grande farmacia che in quei giorni d’assedio faceva da centro di smistamento e di distribuzione, non solo di medicine ma anche di pane per la popolazione affamata. Al momento dell’esplosione c’era una lunga coda di civili in fila per il pane. Quarantasette persone sono state uccise.
Stragi come queste della farmacia di via Chornovola, i russi ne hanno provocate a decine in tutta l’Ucraina, l’ultima delle quali – proprio mentre visitavo la farmacia e i palazzi colpiti – al mercato di Kostiantynivka, nella regione di Donetsk che i criminali russi pretendono di difendere (diciassette morti civili, invece).
La testimonianza visiva dell’aggressione russa all’Ucraina nella via Chornovola di Chernihiv mi è sembrata la fotografia esatta dell’Ucraina contemporanea: la farmacia sventrata è il memoriale per non dimenticare l’orrore; uno dei due edifici residenziali è in attesa di essere demolito perché impossibile da recuperare; mentre l’altro è stato ristrutturato in meno di un anno e mezzo, a guerra ancora in corso, ed è splendido e splendente, sembra fiero e indistruttibile proprio perché ha radici e fondamenta in una tragedia indelebile.
Immagino i morti in coda per il pane, guardo l’edificio reso inutilizzabile dai russi e che per questo sarà abbattuto, ammiro il palazzo già rimesso a nuovo e vedo in un solo luogo – nella strada dedicata a un eroe antitotalitario – la memoria, la tenacia e il futuro del popolo ucraino.