Mad in ItalyGli italiani diventano più poveri e rinunciano ai prodotti della dieta mediterranea

Secondo il Rapporto Coop 2023 negli ultimi due anni i consumi di frutta e verdura si sono ridotti del 15,2 per cento. E chi perde potere d’acquisto riduce la qualità del cibo che acquista, rivolgendosi al discount. Il governo spinge per un accordo sul «trimestre anti-inflazione», ma serve anche l’impegno dell’industria alimentare

(Unsplash)

Per capire dove sta andando l’economia italiana, più che seguire gli zero virgola del Pil, forse è il caso di guardare ai movimenti negli scaffali dei supermercati italiani. E ancora meglio parlare con gli imprenditori della grande distribuzione alimentare. Se fino a qualche mese fa la tavola restava la trincea dei consumi italiani, ormai anche il mito del buon cibo decade. Con il tasso di inflazione dei prodotti alimentari al 21,3 per cento, gli italiani stanno ormai sventolando bandiera bianca. Non solo hanno tagliato la quantità dei prodotti che comprano, ma ormai sempre più rinunciano pure alla qualità del made in Italy rivolgendosi ai discount.

I dati si trovano nell’anteprima del Rapporto Coop 2023 che, contrariamente al solito, si mostra tutt’altro che ottimista, sostenendo senza mezzi termini che il Paese si trova ormai in un periodo di pre-recessione. D’altronde 27,8 milioni di italiani si dicono pessimisti sulla situazione economica e geopolitica. E 45,5 milioni nel 2023 hanno già fatto grandi rinunce a causa dell’inflazione.

Non solo ben 2,5 milioni di italiani quest’estate non sono andati in vacanza. Non solo, abbattendo un altro totem, si sono venduti 1,3 milioni di smartphone in meno. Non solo si è più che dimezzata la spesa al ristorante. Ma si è alleggerito pure il carrello della spesa. Si è ridotta la quantità di quello che mettiamo dentro, rinunciando ai prodotti non strettamente necessari, con un calo dei volumi venduti del tre per cento. E si è abbassata la qualità: basti pensare che negli ultimi due anni i consumi di frutta e verdura si sono ridotti del 15,2 per cento. E per il sedici per cento degli italiani si ridurranno ancora.

Ad agosto, il ministero delle Imprese e del Made in Italy e le associazioni che rappresentano i supermercati hanno preso l’impegno a trovare entro il 10 settembre un’intesa per avviare un «trimestre anti-inflazione» sul carrello della spesa, scegliendo un paniere di prodotti di base su cui applicare uno sconto. Il 6 settembre il tavolo si è riunito nuovamente. E ora bisognerà vedere, dopo il «no» arrivato durante l’estate, se le sigle che rappresentano l’industria alimentare vorranno rivedere la loro posizione. Perché se tutta la filiera sarà della partita, gli sconti potranno essere maggiori. Una sorta di scudo con cui i consumatori in autunno, fino a fine anno, si potranno difendere dal caro prezzi.

Dalla presidente di Coop Italia Maura Latini è arrivato l’appello «all’industria per avviare un percorso comune per combattere l’inflazione e dare una risposta a larga parte della popolazione italiana in difficoltà». Il progetto del ministro Adolfo Urso prevede che sulle porte dei supermercati e sui prodotti scelti sarà posto anche il logo tricolore del “Trimestre anti-inflazione”. Chi aderirà all’accordo comparirà anche in un apposito spazio del sito internet del ministero.

Ma la tra l’industria e la distribuzione continua a registrarsi tensione sui prezzi. Nel 2022, l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, ma le difficoltà della domanda finale hanno obbligato la parte finale della filiera, ovvero i supermercati, a contenere l’impatto finale sui prezzi. Eppure nel 2023, anche a fronte di un rapido rientro sui costi delle materie prime alimentari e dei costi energetici, non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare. Anzi, spiegano nel rapporto, si è assistito a ulteriori aumenti dei listini. E nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento. In questo modo, la comparazione tra l’andamento dei prezzi industriali e quelli al consumo continua a registrare un differenziale negativo che non ha eguali negli ultimi decenni.

«Ma il pericolo ora», dice Latini, «è che, visto che gli italiani stanno spostando i consumi verso il più economico discount, anche la produzione potrebbe risentirne». E i dati del Rapporto Coop sono chiari: con i prezzi che crescono, crolla anche il mito della dieta mediterranea. Contrariamente da quanto sostenuto dal ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, secondo cui «spesso i poveri mangiano meglio», più ci si impoverisce più si mangia peggio. Nel 2023, rispetto al 2021, gli italiani mangeranno oltre novecentonovemila tonnellate di frutta e verdura in meno.

E mentre la grande distribuzione perde terreno, riducendo al minimo i margini di guadagno, le vendite dei discount crescono di quasi il 2 per cento al mese. Tanto che «un italiano su cinque dichiara di aver perso ogni riferimento identitario sul cibo, abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità o del territorio», si legge nel rapporto. E 6,9 milioni di italiani hanno rinunciato «allo standard di consumi alimentari minimo accettabile»

La previsione è che l’inflazione rallenterà, ma i prezzi continueranno a salire. E a fronte di salari che non crescono, il potere d’acquisto continuerà a essere eroso. Il 10 per cento degli italiani dichiara di non arrivare a fine mese e il ventitré per cento ci arriva ma con la costante preoccupazione di non farcela. Il 27 per cento, contrariamente alla narrazione del quiet quitting, prova a lavorare di più per arrotondare, con doppi lavori o lavoretti aggiuntivi. Per sette italiani su dieci, servirebbe almeno una mensilità in più. E ai giovani va molto peggio, visto che guadagnano in media poco più della metà rispetto ai loro genitori.

Da qui la richiesta al governo che arriva da Marco Pedroni, Presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop) di mettere in campo «azioni molto concrete: in primis di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori attraverso il taglio del cuneo fiscale e con la detassazione degli aumenti salariali, poi di aiutare la parte più debole del Paese tassando gli extraprofitti di chi ha guadagnato di più, ma anche attraverso l’introduzione del salario minimo». Il sessantotto per cento dei manager intervistati nel Rapporto Coop si dice favorevole all’introduzione del salario minimo.

X