La trattativa sotterranea per abbassare dal quattro al tre per cento la soglia di sbarramento alle europee va avanti da maggio. Giorgia Meloni è favorevole. Matteo Salvini ieri ha posto un veto per non favorire Forza Italia e i vari cespugli centristi di entrambi i fronti, soprattutto quelli del centrodestra che vogliono tenerlo fuori dal Grande Gioco di potere che si aprirà dopo il voto di giugno 2024.
Per Salvini la modifica della legge elettorale non è una priorità. In una nota, la Lega ha precisato che gli italiani devono scegliere i propri rappresentanti senza aiutini: «In teoria sarebbe più ragionevole alzare la soglia: consentirebbe di limitare la frammentazione politica che rende il Paese più debole».
È un argomento poco interessante per gli elettori, ma è determinante per il futuro dell’Europa, è vitale per la rappresentanza dei partiti nel Parlamento di Strasburgo. L’esito delle urne di giugno prossimo costituirà la base del nuovo assetto di potere a Bruxelles. Le alleanze per sostenere la nuova Commissario europea, con ciò che ne consegue per i Paesi comunitari, dipendono da quel voto e dal rapporto di forza tra le famiglie politiche europee.
Il governo italiano ha l’ambizione di replicare la maggioranza di centrodestra a Bruxelles. Ma non tutto è pacifico nella coalizione. Gli alleati si marcano stretti. Non è per nulla scontato che Matteo Salvini entri dalla porta centrale di Palazzo Berlaymont a braccetto con Meloni e Tajani. La premier sta costruendo il suo asse con Ursula von der Leyen: l’alleanza tra Conservatori e Popolari terrebbe fuori Identità e Democrazia di cui fanno parte la Lega, Marine Le Pen e la destra estrema di Alternative für Deutschland.
Non è solo la leader di Fratelli d’Italia che vuole scrollarsi di dosso gli imbarazzanti tedeschi e madame Le Pen, invisa agli amici Conservatori polacchi per via delle sue posizioni sulla Russia. Ad essere fortemente contrario è il ministro degli Esteri, che eredita da Silvio Berlusconi una Forza Italia malconcia: non c’è più il padre fondatore, che comunque garantiva uno zoccolo duro di consensi, ed è accerchiata da fameliche piccole e divise formazioni centriste, a loro volta in bilico sul precipizio dello sbarramento, che vogliono sbranarla. Forza Italia rischia di scivolare pericolosamente verso la soglia minima del quattro per cento, sotto la quale i partiti non eleggono nessun eurodeputato. Ecco quindi che Giorgia si è resa disponibile a venire incontro ad Antonio, che sta lavorando alacremente dentro il Partito Popolare europeo per costruire l’alleanza tra la sua famiglia politica europea e quella dei Conservatori. Mandando all’opposizione i Socialisti.
Con la soglia del tre per cento Forza Italia potrebbe dormire sonni tranquilli. Potrebbe eleggere con maggiore tranquillità i propri candidati e imbarcare pure Noi moderati di Maurizio Lupi. Tutto finalizzato al progetto di Meloni e del leader dei Popolari Manfred Weber, che sono disponibili a coinvolgere Salvini a una precisa condizione: che si sganci dagli “impresentabili” tedeschi e da Le Pen. Si eviterebbero inoltre contraccolpi polemici e divisioni a Roma. Ma le cose in politica non camminano mai così diritto. Matteo non vuole divorziare da Marine e ha sente puzza di bruciato. Anzi, odore di potere, di inciucio, di metamorfosi. Così ha fatto la mossa di mettere sui carboni ardenti gli alleati italiani che sono pronti anche a un’intesa europea con i Socialisti nel caso non ci fosse una maggioranza autosufficiente di centrodestra. Cosa molto probabile.
Il capo leghista ha chiesto a Meloni e Tajani di firmare, prima delle europee, un patto anti inciucio sulla falsa riga di quello che Meloni gli aveva proposto alla vigilia delle elezioni politiche del 2018. Lui allora rifiutò di firmarlo, dopo il voto fece l’accordo con Luigi Di Maio ed entrò nel governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte. Fu il grimaldello che la leader di Fratelli d’Italia usò dall’opposizione per mangiare a Salvini milioni di voti e ora il leghista vuole utilizzare per riprendersi un pezzo di quel consenso perduto.
I sondaggi stanno registrando in effetti le prime scosse telluriche, con Fratelli d’Italia in calo e la Lega in crescita anche grazie all’attivismo di Salvini sempre più a destra. La volontà di candidare il generale Roberto Vannacci va in questa direzione.
In mezzo c’è il vaso di coccio: Forza Italia potrebbe essere la vittima sacrificale della competizione dentro il centrodestra già alle prese con una manovra finanziaria molto difficile, destinata a scontentare ministri, parlamentari, amministratori locali raccoglitori di voti. E tanti elettori. Ora Tajani alza la testa, dice di essere contrario ad abbassare la soglia di sbarramento al tre per cento, di non averne bisogno.
Sembrerebbe una contraddizione, un azzardo, come se volesse fare una prova d’orgoglio, sicuro di potercela fare. Dietro c’è una questione diversa. Insieme a Lupi e altri cespugli centristi portatori di voti concentrati in alcune aree regionali, Tajani il quattro per cento potrebbe superarlo con tranquillità. I sondaggi danno Forza Italia in una forbice tra il sei e, quelli molto più generosi, il dieci per cento. Mancano però nove mesi e può succedere di tutto. Dunque qual è il motivo di questa alzata d’orgoglio?
L’interpretazione più plausibile è che, abbassando lo sbarramento dal quattro al tre per cento, verrebbero favoriti i più diretti concorrenti nell’area centrista, moderata liberale. Il Centro dell’agguerrito Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda, tutti lì appollaiati sull’albero in attesa di prendersi una parte delle spoglie del Cavaliere.