La decisione di Xi Jinping di non andare al G20 di Nuova Delhi è stata interpretata come un modo per non incontrare Joe Biden e sminuire il ruolo dell’India di Narendra Modi, il risultato è che Biden e Modi si sono presi la scena celebrando l’intensificarsi delle relazioni tra Stati Uniti e India, e insieme ai leader europei hanno reso evidente la flessibilità e il multi-allineamento delle potenze del Sud globale. Biden e Modi hanno cementato i legami indo-statunitensi nel campo della difesa e della tecnologia, continuando a coltivare la fiorente cooperazione strategica tra i due paesi alimentata dalla diffidenza sull’assertività della Cina nell’Asia meridionale e nel Pacifico. Una cooperazione che riguarda il settore privato, dai semiconduttori alle telecomunicazioni fino all’informatica quantistica e all’intelligenza artificiale, e il settore militare, con Nuova Delhi impegnata nel tentativo di colmare il divario nella preparazione delle forze armate e nell’acquisizione e sviluppo di armamenti ad alta tecnologia.
Finora l’India è stata uno dei principali acquirenti dell’industria militare della Russia, ma dopo l’invasione dell’Ucraina le forniture russe risultano meno affidabili sia in termini qualitativi che quantitativi. Inoltre, Nuova Delhi teme che nel medio e lungo periodo la crescente dipendenza di Mosca da Pechino possa mettere a rischio la terzietà del Cremlino nelle tensioni indo-cinesi.
Biden e Modi hanno anche annunciato la conclusione di un secondo accordo per la riparazione e manutenzione delle navi della US Navy, che potranno usufruire in misura maggiore di porti e cantieri navali indiani. Sul fronte diplomatico, Biden ha detto che sosterrà la candidatura dell’India per un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e ha promesso di tornare a Nuova Delhi nel 2024 per un vertice tra i leader del Quad, il patto strategico per la sicurezza nell’Indo-Pacifico che riunisce Stati Uniti, India, Australia e Giappone.
Tuttavia, gli accordi non sono stati solo bilaterali. Insieme a Modi, Biden ha incontrato i leader di Brasile e Sudafrica e il presidente della Banca Mondiale Ajay Banga– un indiano naturalizzato statunitense – per «riaffermare l’impegno condiviso nei confronti del G20 come principale forum per la cooperazione economica internazionale». Successivamente, i due hanno presieduto un vertice con un gruppo di leader del G20 per accelerare gli investimenti e i progetti infrastrutturali della Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii), un piano lanciato inizialmente dal G7 a giugno dell’anno scorso per contrastare nella forma e nella sostanza la Belt and Road Initiative (Bri) cinese, la nuova via della seta.
I leader di India, Stati Uniti, Unione europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Mauritius (paese ospite), e il presidente della Banca Mondiale hanno discusso di come colmare il divario infrastrutturale nei paesi in via di sviluppo per promuovere «il commercio, l’attività economica e la prosperità». Ma oltre alla retorica sugli investimenti «inclusivi e sostenibili» sono stati firmati accordi, con un forte protagonismo dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, due dei sei paesi che (in teoria) l’anno prossimo entreranno a far parte del Brics. I leader hanno presentato un memorandum d’intesa per lo sviluppo di un nuovo corridoio infrastrutturale per collegare l’India all’Europa attraverso il Medio Oriente, costruendo una linea ferroviaria che collega via terra i porti esistenti nel Golfo Persico e nel Mediterraneo.
Un progetto la cui utilità risulta discutibile visto che una rotta marittima esiste già da oltre un secolo, ma la parte più interessante del documento è quella in cui si afferma che oltre alla linea ferroviaria si vuole costruire una rete di cavi per le telecomunicazioni, linee elettriche, e gasdotti per trasportare l’idrogeno derivato dalle energie rinnovabili, settore in cui i sauditi stanno investendo miliardi di dollari.
L’Arabia Saudita rappresenta un caso esemplare della possibilità delle medie potenze di muoversi con disinvoltura su più tavoli del mondo multi-allineato. Nel giro di poche settimane il leader saudita Mohammed bin Salman ha fatto accordi al vertice dei Brics, ha cominciato a raccogliere i frutti della politica aggressiva dei tagli della produzione del petrolio concordata con la Russia in sede Opec+ (prezzo del Brent a novanta dollari al barile), e ha concluso accordi a tutto campo con Stati Uniti, Europa e India.
Nella riunione sulla Pgii sono stati annunciati anche investimenti per lo sviluppo di un corridoio che mira a collegare il porto di Lobito in Angola ai porti in Tanzania e Kenya attraverso il Congo e lo Zambia, costruendo una rete infrastrutturale che permetterà lo sviluppo del commercio regionale e l’esportazione delle materie prime della regione, tra cui le terre rare e altri materiali per la costruzione di auto elettriche. Una decisione che entra in diretta concorrenza con le mire cinesi sulla stesso corridoio. L’Africa ha anche ottenuto il riconoscimento dell’Unione africana come membro permanente del G20, celebrata dalla stampa filogovernativa indiana come una mossa che riduce l’influenza della Cina nel continente e afferma il ruolo dell’India come leader del Sud globale.
Tra annunci ambiziosi e contraddizioni nascoste, il mondo multipolare in realtà esiste già. Il prossimo appuntamento è il 19 settembre a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove il leader del mondo non potranno fare a fare a meno di affrontare la questione chiave: l’invasione russa dell’Ucraina.