Tempo persoIl governo fa ancora melina sulle concessioni delle spiagge, ma così non aiuta nessuno

Anche la quarta riunione del tavolo tecnico consultivo non ha prodotto la tanto attesa mappatura delle aree demaniali marittime: l’esecutivo indugia ma fra tre mesi, senza una riforma, dovrà essere messo tutto a gara. L’esatto opposto di quello che Meloni diceva in campagna elettorale

La spiaggia di Rimini fitta di ombrelloni degli stabilimenti
LaPresse/Massimo Paolone

Ancora una volta nulla di fatto. Anche la quarta riunione del tavolo tecnico consultivo voluto dal governo in materia di concessioni demaniali non ha prodotto la tanto attesa mappatura e ha posticipato ulteriormente la definitiva risoluzione della questione delle concessioni delle spiagge.

L’esecutivo Meloni continua a temporeggiare quando mancano poco più di tre mesi al termine indicato dal Consiglio di Stato come limite ultimo entro il quale riformare il settore e adeguarlo alla normativa europea. Il termine perentorio è quello del 31 dicembre, stabilito da una doppia sentenza del novembre 2021 e confermato nuovamente – sebbene non ce ne fosse bisogno – in un’altra pronuncia di Palazzo Spada di qualche giorno fa. In assenza di una riforma dal 2024 tutte le concessioni demaniali marittime andranno a gara.

Il percorso che dovrebbe portare alla mappatura delle spiagge italiane, dunque, non si è ancora concluso. Come si legge nel comunicato del governo, il tavolo tecnico ha fatto il punto «sullo stato di avanzamento della mappatura e ha discusso dei possibili criteri di cui è attesa l’elaborazione circa la scarsità della risorsa naturale disponibile», segno evidente che mancano ancora diversi dettagli prima di arrivare a un risultato definitivo. Le parti si riaggiorneranno entro la fine di settembre.

La mappatura delle concessioni già in essere è la strategia individuata da Meloni per evitare le gare: il governo vuole dimostrare che la risorsa spiaggia non è limitata per via della scarsità delle risorse, mettendo in questo modo le concessioni al riparo dall’applicazione della Direttiva. Uno scenario effettivamente previsto dalla Bolkestein anche se le varie sentenze degli ultimi anni, pur confermando quanto previsto in caso di risorsa «non scarsa», hanno sempre dichiarato illegittimo il rinnovo automatico delle concessioni e indicato la procedura di selezione come unica via percorribile. Selezione che in Italia di fatto non è mai avvenuta ed è per questo che il progetto dell’esecutivo appare un po’ debole.

I lavori del tavolo tecnico richiederanno quindi altro tempo e ancora per qualche settimana, arrivati ormai al termine di quella che potrebbe essere l’ultima estate con questo tipo di assetto, gli operatori balneari saranno costretti a rimanere nell’incertezza. Una dilatazione dei tempi, per fare luce su una situazione che dovrebbe essere sotto il totale controllo dei vari enti pubblici, che lascia qualche dubbio. Legambiente ad esempio già da anni pubblica un rapporto sulla situazione delle spiagge e quello del 2023 ha evidenziato come a livello nazionale il quarantatré percento della costa sia attualmente occupata. A questo dato vanno poi aggiunte le spiagge libere e quelle non accessibili. Con numeri simili sembra un’impresa complicata dimostrare la non scarsità delle spiagge. Ma si continua a tentare.

Se Palazzo Chigi non dovesse riuscire nell’intento di evitare l’applicazione della Bolkestein alle spiagge, si troverebbe a dover definire poche settimane un quadro normativo molto complesso che metta i Comuni e le Regioni nelle condizioni di poter procedere con le gare in tempi brevi. Una corsa contro il tempo. Oltre agli operatori, infatti, le conseguenze della “melina” del governo le potrebbero pagare anche i Comuni costieri, che nei prossimi mesi saranno chiamati a gestire una svolta che, in qualsiasi caso, avrà un impatto significativo per l’economia dei territori.

In questo limbo, con la direttiva europea da una parte e il vuoto normativo nazionale dall’altra, i dirigenti comunali si guardano bene dal firmare degli atti che potrebbero avere conseguenze civili e penali. Al momento mancano gli strumenti per applicare la Direttiva a causa dei ritardi del governo e in tanti scelgono, giustamente, di non decidere.

Chi invece sta provando ad attrezzarsi in house, pur rimanendo nel perimetro della Direttiva, rischia senza una linea guida nazionale di dare vita a un patchwork normativo che creerebbe ulteriore incertezza (oltre ad essere facile bersaglio di eventuali ricorsi). Il timore dei sindaci, in attesa di una risposta da Palazzo Chigi, è che tra tempi tecnici e burocrazia gli uffici comunali non riusciranno, nei pochi mesi che avranno a disposizione, a predisporre le gare.

La ferma contrarietà alla Bolkestein in campagna elettorale ha portato tanti voti a questa maggioranza che di procedure di selezione non ha mai voluto sentire parlare. Nel 2022 la premier si diceva certa che la direttiva Bolkestein, occupandosi di «servizi», non fosse applicabile alle spiagge visto che «le concessioni balneari riguardano beni demaniali».

Governare però è un po’ più complesso che stare all’opposizione e in un anno alcune di queste certezze sono venute meno. Con una scadenza così ravvicinata, se la mappatura delle spiagge non dovesse dare l’esito sperato (scenario più che probabile), il tentativo del governo di tenere fede a promesse elettorali inverosimili avrebbe portato come unico risultato quello di sottrarre tempo prezioso a tutti. Al legislatore e soprattutto agli imprenditori.

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