Non sono emerse grandi novità nella terza riunione del tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali, convocata da Palazzo Chigi lo scorso martedì. Il comunicato del governo a margine dell’incontro ha sottolineato l’avvio di «una prima riflessione sui criteri da elaborare per determinare la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile». Un po’ poco, quando mancano cinque mesi alla scadenza indicata dalla sentenza del Consiglio di Stato, che fissa a fine 2023 il termine perentorio entro il quale riformare il settore delle concessioni demaniali delle spiagge in ottemperanza alle norme europee.
Ma procediamo con ordine. La Direttiva del 2006 nasce con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi all’interno del mercato unico europeo. In particolare, la Bolkestein stabilisce che in caso di numero limitato di autorizzazioni per una determinata attività di servizi si debba procedere con una procedura di selezione imparziale e trasparente. Una misura che ha interessato vari segmenti economici del mercato unico, tra cui anche le concessioni delle spiagge. In Italia, il legislatore non ha mai adeguato la normativa e dopo il continuo tergiversare della politica nazionale è dovuta intervenire più volte l’Europa a indicare la strada da seguire: le concessioni vanno messe a gara.
Sulla base di queste indicazioni, Mario Draghi aveva avviato un percorso di riordino del settore, non riuscendo però a portarlo a termine. Alle elezioni del 2022 il governo Meloni ha intercettato la maggioranza dei voti degli operatori balneari promettendo di bloccare l’applicazione della direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali delle spiagge.
Nonostante negli anni le varie sentenze italiane ed europee (tra cui spiccano quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 2016, quella doppia del Consiglio di Stato di novembre 2021 e quella della Cgue dello scorso aprile) abbiano fatto molta chiarezza, i partiti di maggioranza sono ancora convinti di poter trovare una via d’uscita. Per farlo, il governo sta provando a dimostrare che manca un presupposto fondamentale per l’applicazione della Bolkestein: la scarsità della risorsa spiaggia. La Direttiva, infatti, può non essere applicata qualora l’oggetto della concessione «non risulti limitato per via della scarsità delle risorse».
La strategia di Giorgia Meloni – che nel frattempo ha visto dichiarare l’illegittimità della proroga delle concessioni fino alla fine del 2024, inserita dall’esecutivo all’interno del «Milleproroghe» – è quella di mettere al riparo dalle gare i concessionari uscenti, prevedendo invece una procedura selettiva solo per le concessioni ex novo.
Un’interpretazione forzata, dal momento che le sentenze e le varie procedure d’infrazione hanno, sì, ribadito che la Direttiva è applicabile solo qualora la risorsa risulti «scarsa», ma hanno anche dichiarato illegittimo il rinnovo automatico delle concessioni, indicando la procedura di selezione come unica via percorribile.
La strada tracciata dalla Premier ha portato all’istituzione del tavolo tecnico consultivo per la mappatura. Il tavolo, che si è riunito tre volte, è supportato in questo lavoro da Siconbep, il nuovo sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici costituito presso il ministero dell’Economia la scorsa settimana, che dovrebbe aiutare il governo a mappare le concessioni demaniali.
Ci sono però due aspetti da considerare. Il primo riguarda le tempistiche: il tempo stringe e l’esecutivo dovrebbe riuscire a mappare le spiagge – e conseguentemente presentare una proposta di riforma – entro i prossimi cinque mesi, non oltre scadenza di fine anno fissata dal Consiglio di Stato (cosa che non sembra scontata).
Il secondo aspetto è di merito: dimostrare la mancata scarsità della risorsa spiaggia è complicato soprattutto nelle Regioni a maggior afflusso turistico. È di questi giorni il report spiagge Legambiente 2023 che mostra come a livello nazionale siano 12.166 le concessioni per gli stabilimenti balneari e 1.838 le concessioni per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. Circa il quarantatré percento dell’intera costa. Il dato peggiora di molto in alcune regioni come la Campania, la Liguria e l’Emilia-Romagna, dove quasi il settanta percento del litorale è occupato da stabilimenti balneari, con punte in alcuni Comuni prossime al cento per cento.
C’è ancora grande incertezza su quelli che saranno i criteri per determinare la scarsità della risorsa e neanche nell’ultima riunione del tavolo tecnico sono arrivate risposte. Bisognerà sicuramente tenere conto della necessità di avere un certo numero di spiagge libere, di alcuni tratti di costa inutilizzabili e dell’impatto ambientale che avrebbe il rilascio di concessioni ex novo. E prima o poi bisognerà anche fare i conti con la realtà: la mappatura non potrà avere un carattere solo nazionale e le spiagge più appetibili sono solitamente collocate in aree con un numero importante di concessioni.
La già citata sentenza di aprile della Cgue specifica che «il diritto dell’Unione non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del Comune in questione». Di conseguenza, in Comuni o Regioni in cui l’occupazione del litorale supera il settanta percento, sembra impensabile dimostrare la non scarsità della risorsa. Ma il governo, nonostante qualche perplessità interna, sembra intenzionato a voler proseguire su questa difficile strada.
Un nuovo tavolo tecnico verrà convocato a settembre e in quell’occasione dovrebbe esserci maggiore chiarezza sulla mappatura e sui criteri che verranno sottoposti a Bruxelles. Sicuramente i margini di manovra saranno limitati visto che la Commissione ha già dimostrato, dopo diciassette anni, di non essere più disposta a fare sconti. L’unica cosa certa al momento è l’incertezza in cui si trovano migliaia di imprenditori che da anni aspettano di capire quale sarà il loro futuro, con ricadute pesanti anche sugli investimenti. Su questo, purtroppo, dubbi non ce ne sono.