Essere creativi in una città come Milano sembra essere sempre più arduo e sfidante. A tutti i livelli sia chiaro, tanto che si parli di format di ristorazione innovativi, di soluzioni estetiche non inflazionate, proposte grafiche capaci di balzare all’occhio, soluzioni abitative lontane dal nostro uso comune. È anche vero però che a una simile barriera all’ingresso corrispondono spesso casi felici di progetti e start up capaci di offrire un punto di vista diverso, un approccio nuovo quantomeno per i milanesi (per chi è abituato a girare il mondo è altra storia).
A un anno quasi esatto dalla sua apertura HORTO, il progetto cittadino voluto da Osvaldo Bosetti e Diego Panizza e firmato dal blasonato chef Norbert Niederkofler, può dirsi sicuramente rodato, in crescita costante nonché ben innestato nella fascia alta dei ristoranti del centro.
Fin dall’inizio e in corrispondenza della natura stessa dello chef altoatesino, Horto ha fondato la sua filosofia sulla ricerca e valorizzazione di un tempo etico, fatto di sinergie costanti tra cucina e territorio, tra materia prima e processo creativo fino al coinvolgimento del contesto circostante. Non è necessariamente conciliante mettere in atto questo obiettivo in Piazza Cordusio a Milano, con il traffico incessante della città che avanza, il ritmo incalzante del denaro e una clientela quasi sempre timeless e in giacca e cravatta. Il momento di evasione e l’esperienza che in genere andiamo così tanto cercando a tavola rischia di essere minimizzato, di passare in secondo piano rispetto a un business lunch e non propriamente analizzato, compreso, valorizzato.
L’approvvigionamento avviene dalle realtà appena fuori città, coinvolgendo anche qui contadini locali, caseifici, agricoltori della zona. Per chi ha seguito negli anni l’evoluzione della cucina regionale lombarda è nota l’importanza di contesti quali quello del Parco Agricolo Sud di Milano e delle innumerevoli cascine a pochi chilometri dal centro che si sono riappropriate di coltivazioni, grani e allevamenti nonostante la massificazione industriale. Tuttavia, se questo fatto è ancora determinante nella definizione dell’identità di determinati progetti di ospitalità, è inevitabile che venga parzialmente cannibalizzato in un contesto tremendamente urbano come quello del super centro.
A compensare questa difficoltà giunge in aiuto una leggerezza architettonica quasi eterea, su modello organico, disegnata e curata da Studio GLA (Genius Loci Architettura) che ha lavorato dalle fasi di ristrutturazione sino all’interior design, studiato dall’Architetto Luisa Collina. La coerenza complessiva è lampante. Già dall’ingresso si è avvolti di luce e dei suoi colori chiari, tenui e affiancati da materiali zero waste. Le pareti sono rivestite di intonaco di riso riutilizzando gli scarti di lavorazioni agricole e industriali mentre ogni elemento del parquet viene da legni di recupero di vecchie botti di aceto. C’è materia, c’è rotondità, c’è natura accompagnate da un intervento umano sapiente di modellamento e adattamento della stessa alle necessità, agli ambienti e non ultimo all’ospite.
La vista su Milano è poco profonda per via della vicinanza dei palazzi contigui ma nonostante questo, maestosa. La terrazza offre uno sfogo invidiabile per qualunque hotel o altra struttura di lusso del centro ed è uno spot ambito per un aperitivo al tramonto. Questo tentativo di portare la città all’ospite, restituendo un ambiente in cui il rispetto per il territorio è centrale, costituisce l’anima della proposta gastronomica di Horto.
A capo delle cucine troviamo Alberto Toè, un ragazzo giovane ma già temprato dalle esperienze con significativi chef italiani e stranieri. Prima da Igles Corelli, poi dalla famiglia Costa a La Stua de Michil, poi Berasategui, Caminada, Mendes, Leeman e infine a San Cassiano all’epoca (ormai è epoca) del St. Hurbertus di Niederkofler fino alla H-Farm Le Clementine in provincia di Treviso.
La proposta si articola dalle prime ore del mattino, dove il locale è aperto al pubblico per caffè e colazione fino a sera. Sfidante.
Il momento del pranzo è alla carta, dove è comunque possibile provare il menu degustazione The Awakening, e infine la cena per chi cerca l’esperienza più completa. La scelta dei piatti è ampia, molto variegata nella tipologia di proposta e univocamente legata dalle acidità, specialmente lattiche, presenti dagli antipasti, ai primi, agli sfizi. Il non uso di sale consente (laddove realmente la materia prima spicca) di apprezzare al meglio l’ingrediente, cercando di esaltarne al massimo il gusto stagionale e/o vegetale intrinseco. Non tutti i palati ci sono abituati ma resta un esercizio interessante. Ci sono cervo e trota, c’è il manzo di Varese e il caviale di storione. Non mancano anguilla, vitello, anatra e maialino con altrettante erbe, frutta e fiori dei campi intorno a Milano.
Non abbiamo avuto modo di provarla, ma per gli appassionati del mondo miscelazione la proposta del cocktail bar merita una visita anche senza avere il tempo di una cena. Anche in orario aperitivo infatti dal bar è possibile scegliere qualche piatto da una selezione ancora diversa di referenze, decisamente più agili ma ugualmente divertenti.
Horto è un esperimento che chiederà qualche tempo per poterlo valutare in modo più approfondito, ma per chi ama il centro e non può fare a meno di un momento di astrazione dalla realtà metropolitana, costituisce un unicum di estetica e filosofia culinaria.
Tutte le foto courtesy Horto Restaurant – Mattia Parodi / Christian Bazzo
Horto Restaurant
Via S. Protaso, 5 – Milano