Melting GopGli indiano-americani sono sempre più rilevanti nella politica degli Stati Uniti

Alla Reagan Presidential Library si è tenuto il secondo dibattito tra i candidati repubblicani. Due dei protagonisti, Vivek Ramaswamy e Nikki Haley, hanno origini nell’ex colonia britannica: esponenti di una minoranza poco raccontata, divisa tra ritorno all’antico e mutazione definitiva

AP/Lapresse

C’è una minoranza etnica che negli Stati Uniti è fuori dalle narrazioni politiche tradizionali. Eppure, nonostante gli americani che hanno antenati provenienti dall’India oggi siano poco più di quattro milioni, riescono a farsi strada in vari settori della vita pubblica, in special modo in politica. E nel dibattito repubblicano di ieri, 27 settembre, tenuto alla Reagan Presidential Library, ci sono due esempi di storie di successo, come l’imprenditore del tech Vivek Ramaswamy e l’ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite Nikki Haley. Sono lontani i tempi in cui, all’inizio del Novecento, alcuni di loro raggiungevano la California provenienti dall’Impero britannico per costruire lunghi tratti di ferrovia in condizioni lavorative difficili, sotto ogni condizione climatiche, subendo restrizioni all’accesso e razzismo sistemico quasi come i loro colleghi di origine cinese.

Oggi chi proviene dal subcontinente indiano invece spesso lo fa per lavorare nelle aziende del tech, per studiare in una prestigiosa università o semplicemente per crescere una famiglia in condizioni più favorevoli. Questo background si rispecchia anche nelle storie personali dei più famosi personaggi politici che condividono l’origine ancestrale, a cominciare dalla vicepresidente Kamala Harris. Perché fu proprio un campus, quello di Berkeley, dove suo papà Donald Harris incontrò la sua futura moglie Shyamala Gopalan, dottoranda di endocrinologia. Ritroviamo un retroterra paragonabile anche nei genitori di Vivek Ramaswamy: entrambi provenienti dallo stato del Kerala ed entrambi laureati, arrivati in America per offerte di lavoro ai massimi livelli. Il papà Ganapathi ingegnere alla General Electric mentre la mamma Geetha è una psichiatra.

Anche per Nikki Haley, così come per i deputati progressisti Ro Khanna e l’ex governatore della Louisiana Bobby Jindal la loro famiglia d’origine è una di persona titolate e venute in America per trovare un degno sbocco al loro talento. Bisogna risalire fino al primo deputato di origine indiana, il californiano Dalip Singh Saund, in carica dal 1957 al 1963, figlio di una madre rimasta vedova in giovane età, per non trovare una nascita relativamente agiata.

La prima grande immigrazione di indiani negli Stati Uniti è arrivata dopo la storica legge sull’immigrazione del 1965. Ma alcuni fattori non secondari, come la ricchezza relativa degli immigrati indiani e i loro alti livelli di istruzione, hanno favorito una rapida ascesa politica per la seconda e la terza generazione. In più alcuni gruppi politici – tra cui Impact e AAPI Victory Fund –, spiega ancora il New York Times, si sono subito attivati per dirigere l’attenzione dei politici sul peso elettorale degli indiani americani, le cui popolazioni in Stati come Georgia, Pennsylvania e Texas sono abbastanza grandi da influenzare le tornate elettorali.

«In alcune aree del nostro apparato statale siamo passati letteralmente dal non avere nessun rappresentante all’avvicinarci alla parità», aveva detto lo scorso febbraio al New York Times Neil Makhija, direttore esecutivo di Impact, un gruppo di difesa indiano-americano.

Non sorprende dunque che, per quanto ci siano idee diversissime negli esponenti politici finora citati, questi vengano accomunati da una grande attenzione all’istruzione e alla meritocrazia. E ci spiega anche perché spesso molti di loro sappiano conquistare posizioni prominenti nel loro campo d’interesse. Secondo un sondaggio pubblicato all’indomani delle ultime elezioni presidenziali da parte del Carnegie Endowment for Peace, in collaborazione con l’Università Johns Hopkins di Baltimora e l’Università della Pennsylvania, il settantadue per cento degli americani di origine indiana avrebbe scelto Joe Biden contro soltanto il ventidue per cento di elettori di Donald Trump. Una netta preferenza a favore dei dem, come nel caso di altre minoranze.

Questa appartenenza però sta cambiando e lo vediamo non soltanto nella presenza di due candidati di prima fascia alle primarie presidenziali repubblicane, ma proprio per la media del loro reddito. Sempre più indiani quindi vorrebbero rispecchiarsi in un partito che difende l’innovazione imprenditoriale, tiene le tasse basse e premia la meritocrazia. Non esattamente il ritratto del Partito Repubblicano trumpizzato, più attento alla protezione vera o presunta di una classe operaia bianca lasciata indietro dalla globalizzazione, ma di sicuro sono temi che storicamente fanno parte del Dna della principale forza politica conservatrice d’America. Temi che vengono infatti rispolverati con grande vigore da Haley, che propone una posizione moderata riguardo all’aborto e una visione dell’America come difensore globale delle liberal-democrazie sul modello neoconservatore di George W. Bush, insieme alla volontà di contenere sia il debito che la spesa pubblica. Inoltre, in passato, quando gli indiani americani si candidavano come repubblicani, raramente parlavano molto delle loro storie familiari, mentre Haley rimarca spesso il suo background e le sue origini, come a voler sfruttare questo fattore come un asset in campagna elettorale.

Anche Ramaswamy vuole superare il trumpismo, però per spingere alcune suoi principi all’estremo: forte limitazione nei confronti dei flussi migratori irregolari e un abbandono completo degli investimenti ecologici, i cosiddetti Esg, da parte delle grandi corporation, da lui visti come un limite all’innovazione e al profitto.

Al primo dibattito repubblicano queste due posizioni si sono scontrate e gli osservatori hanno notato la vitalità dei due politici, contrapposta ad altri candidati che sono apparsi troppo timorosi nei confronti della potenziale ira di Donald Trump, che anche questa volta sarà assente dal palco.

Pur provenendo dai ranghi di una minoranza poco raccontata, Ramaswamy e Haley rappresentano forse meglio di ogni altre le due possibili alternative per il Gop post-trumpiano: ritorno all’antico per Haley e mutazione definitiva per Ramaswamy. Un bivio nel quale gli indiani-americani saranno comunque protagonisti.

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