La giusta privacy al giusto prezzo? L’idea è questa. Secondo un’indiscrezione del New York Times, Meta starebbe valutando di lanciare versioni a pagamento di Facebook e Instagram senza pubblicità solo per gli utenti dell’Unione europea. La notizia trapelata non è stata commentata dall’azienda ma è rimbalzata in tutto il mondo ed è possibile che a Menlo Park si stiano già preparando per l’annuncio ufficiale. Fonti interne alla compagnia avrebbero rivelato che, attraverso un abbonamento a pagamento, gli utenti avranno la possibilità di non visualizzare più annunci pubblicitari all’interno delle app. Al momento non sappiamo quanto costeranno questi piani premium o quando verranno rilasciati. L’unica certezza è che Meta continuerà a offrire agli europei anche le tradizionali versioni gratuite di entrambi i social.
La scelta porterebbe a un cambio radicale nel modello di business della creatura di Zuckerberg nel vecchio continente. Al tempo stesso, non rappresenterebbe che una reazione alle recenti politiche di Bruxelles, caratterizzate da controlli sempre più serrati nei confronti delle Big Tech. Come noto, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) entrato in vigore nel 2018 ha avuto un impatto enorme su Meta: piuttosto prevedibile per un’azienda la cui principale fonte di guadagno è la vendita di dati personali degli utenti per la realizzazione di inserzioni pubblicitarie mirate (il novantotto per cento del fatturato nel 2022).
Tentando di porre un freno a questo massiccio drenaggio di informazioni ad personam, la Corte europea ha emesso negli anni diverse sentenze contro l’azienda. L’ultima è arrivata lo scorso luglio e ha spianato la strada all’antitrust tedesco, che ha avuto il via libera per bloccare Meta dal combinare i dati aggregati degli utenti delle sue piattaforme e da siti web e app esterne (a meno di un’autorizzazione esplicita). Qualche giorno dopo, il garante irlandese per la privacy – competente su tutte le questioni del gruppo Meta, che in Irlanda ha la propria sede europea – ha sollevato perplessità su Threads, il nuovo social di Zuckerberg presentato come l’ammazza-Twitter.
Da noi il servizio continua a non essere disponibile, proprio per ragioni di privacy e trattamento dei dati. Sempre quest’anno, a gennaio, l’Ue ha multato Meta con trecentonovanta milioni di euro dopo aver scoperto che aveva illegalmente costretto gli utenti ad accettare annunci personalizzati. A maggio è arrivata un’altra sanzione, questa volta di 1,2 miliardi di euro.
Del resto, il rapporto tra Mark Zuckerberg e l’Europa è da sempre piuttosto complicato. Il punto di non ritorno, se così possiamo chiamarlo, è stato però il Digital Service Act. Il pacchetto di leggi approvato l’anno scorso dal Parlamento europeo per regolare ulteriormente i giganti del web entrerà in vigore a partire dal 17 febbraio 2024, ma i suoi effetti si sono già fatti sentire.
Entro il 25 agosto i vari Google, Instagram, Amazon e compagnia (la lista completa la trovate a questo indirizzo, c’è persino Zalando) avrebbero dovuto scrivere un «rapporto di valutazione dei rischi sistemici» delle proprie piattaforme. Una sorta di radiografia del loro funzionamento, per individuare i rischi legati alla moderazione dei contenuti, alle ripercussioni sulla salute mentale degli utenti e molto altro, in modo da pianificare gli opportuni interventi di correzione.
Il Digital Service Act mira a rivelare alle autorità il funzionamento degli algoritmi dei servizi online più utilizzati in Europa. Quelli che ogni mese vengono usati da almeno il dieci per cento della popolazione, cioè quarantacinque milioni di persone. Lo scopo è garantire più trasparenza sul trattamento dei dati e un maggiore sforzo nella protezione dei minori, così come nella lotta all’illegalità e alla disinformazione. La nuova legge riguarda da vicino anche Meta: per adattarsi alle nuove norme, l’azienda ha dovuto impedire agli operatori di marketing di rivolgersi agli adolescenti europei di età compresa tra i tredici e i diciassette anni, attraverso annunci personalizzati.
È questo il succo della questione. Gli addetti ai lavori interpellati dal New York Times (rimasti nell’anonimato) ritengono che l’introduzione di una versione a pagamento faccia parte una strategia chiara: offrire agli utenti la possibilità di scegliere allenterebbe la pressione da parte delle autorità di regolamentazione europee. Rinunciare a un servizio premium senza annunci pubblicitari è una scelta: optando per la versione tradizionale, l’individuo accetta esplicitamente le condizioni di utilizzo dei suoi dati. Del resto, gli viene data la possibilità di non farlo. La mossa eviterebbe di compromettere il mercato europeo, che assicura a Meta un bacino di quattrocentocinquanta milioni di utenti, secondo solo al Nord America in termini di fatturato.
Va ricordato che un piano di abbonamento a pagamento per Instagram e Facebook esiste già. A luglio è stato introdotto Meta Verified, un programma che per una cifra compresa tra 13,99 e i 16,99 euro al mese fornisce un account verificato con la spunta blu, utile in termini di sicurezza e per aumentare la visibilità del proprio profilo. Al momento, il servizio non elimina comunque le pubblicità dal feed degli utenti.
Ma quante persone saranno disposte a pagare per queste nuove versioni di Facebook e Instagram? La domanda potrebbe essere poco rilevante per la stessa Meta, in termini di strategia. Tuttavia, rimane. La novità potrebbe essere accolta in maniera tiepida dal pubblico in un primo momento, per poi cambiare. Molto dipenderà dall’andamento del mercato e da quanto le altre piattaforme si adatteranno a una tendenza sempre più comune: spendere per avere privilegi sui loro social preferiti. Una tendenza iniziata su Twitter (ora X) per volere di Elon Musk, con il lancio della spunta blu a pagamento.
Il servizio Meta Verified è stato originariamente introdotto nei mercati australiano e neozelandese come banco di prova, quindi è ragionevole pensare che lo stesso possa accadere per la nuova versione priva di inserzioni. Ma si tratta solo di speculazioni. Il vero interrogativo riguarda un altro punto: l’introduzione di un abbonamento con un costo significherà zero pubblicità per gli utenti paganti. Chi si sorbirà la mole di annunci scartati dalla versione premium? La risposta sembra scontata: chi non pagherà.