Già scegliere un quadro da appendere in salotto è un’operazione coraggiosa. Stai rivelando il tuo gusto a chiunque metta piede lì dentro. A me piace questo, gli stai dicendo. In fondo gli stai dicendo: io sono questo. Sai che ci sarà chi, appena fuori, sul pianerottolo, bisbiglierà all’amico: certo, quel quadro orribile… E il giudizio su quei pochi centimetri quadri di universo incorniciati si allargherà irreparabilmente a qualsiasi cosa ti riguardi.
E poi devi scegliere le piastrelle del bagno, la tinta dei muri, lo stile dei lampadari, l’ordine squisitamente arbitrario in cui disporre i volumi nella libreria. Una manifestazione della tua personalità per accumulo di indizi. Come quando cominci a frequentare una persona e ti fai un’idea di chi hai davanti dal modo in cui ordina al ristorante, apre la portiera dell’auto, si soffia il naso, chiede scusa al passante che ha urtato. Solo che nella sua casa, all’altro, ci sprofondi dentro. La casa è una confessione muta. Funziona in modo simile anche con i vestiti, è vero, ma non puoi cambiarti la cucina con la stessa facilità con cui ti cambi i pantaloni. La casa ci si forma attorno come il guscio delle tartarughe, è una calcificazione della nostra anima.
Da qualche tempo il gruppo britannico Jaguar Land Rover, con il progetto House of Brands, ha deciso di incarnare le identità dei propri quattro marchi automobilistici (Range Rover, Discovery, Defender, Jaguar) in abitazioni dove accogliere clienti, partner, giornalisti, amici. Ha deciso insomma di lucidare gli specchi tridimensionali delle proprie personalità, di aprire le porte delle proprie intimità calpestabili.
L’individualità del singolo brand si sposta in differenti dimore adatte ad accoglierla, in un nomadismo da paguro a quattro ruote. Nelle prime due settimane di settembre il progetto si è accomodato in una villa di Liscia di Vacca, Gallura. La Defender House, in stile brutalista, rappresenta – appunto come ogni casa che si rispetti – i tratti caratteriali del suo inquilino. Un inquilino pragmatico, selvaggio, schietto, versatile, avventuroso. Un vicino cui potresti chiedere consigli su come montare una yurta mongola o su come riparare il tostapane.
Qui la materia non si vergogna di se stessa. L’abitazione si articola in una serie di parallelepipedi di granito, collegati da scalinate dello stesso minerale, mimetizzati tra le colline di roccia calcarea, brulle, con tocchi di macchia mediterranea. Tutti gli spigoli sono vivi, è un tripudio di angoli retti. Sculture d’acciaio dalle forme archetipiche puntellano gli interni: uova primordiali, orbitali atomici, umani stilizzati. Ai muri della sala da pranzo sono appesi ritratti fotografici di africani con i volti imbiancati da decorazioni tribali. Il legno, che corre lungo gli stipiti e le finiture di tutti gli ambienti, riveste una parete del soggiorno centrale.
Nel cortile interno, sotto una tettoia di corten, fumano due grandi barbecue. Sul retro della casa, tra terrazzamenti dove gli attrezzi geometrici di Technogym sembrano a loro volta installazioni metalliche, un infinity pool blu cobalto si allunga verso il mare di Poltu Quatu all’orizzonte, in un’osmosi cromatica in cui ciò che è umano si confonde con ciò che è natura.
A bordo di una Defender è possibile selezionare la modalità di guida: comfort, erba – ghiaia – neve, fango e solchi, sabbia, arrampicata su roccia, guado. Tutti questi terreni (a parte la neve, per ragioni termiche) si ritrovano nelle immediate vicinanze della casa, in una sorta di bignami geologico. Perché, dopo tutto, non c’è lusso paragonabile al sentirsi a casa propria nel mondo.