AssimilazioneLa Cina sinizza anche la Mongolia Interna (dopo il Tibet e lo Xinjiang)

Nonostante le proteste del 2020 per il declassamento dell’insegnamento della lingua mongola, il Partito comunista cinese procede nel percorso di normalizzazione forzata di una delle sue regioni di confine

LaPresse

Ha la popolazione mongola più vasta al mondo, anche della stessa Mongolia, ma la sua prima lingua è sempre più solo e soltanto il cinese. Si tratta della Mongolia Interna, regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese. Periferia dell’impero, un vastissimo territorio che copre il dodici per cento della superficie totale di tutta la Cina. Ma che al suo interno ha circa venticinque milioni di abitanti, meno del due per cento della popolazione totale del gigante asiatico. Più o meno cinque di loro sono mongoli, una delle più importanti delle cinquantacinque minoranze che vivono nel Paese dominato dalla maggioranza Han. 

Come successo con Xinjiang e Tibet, o meglio Xizang come funzionari e media statali si riferiscono sempre più spesso alla regione confinante con l’India, il governo centrale sta procedendo nel percorso di sinizzazione. Un processo che serve a creare un’identità comune. Ufficialmente per facilitare lo sviluppo a guida centrale anche nelle periferie più remote, ma con la controindicazione di una buona dose di assimilazione culturale e identitaria.

Questa azione di Pechino è partita dall’istruzione. Come accaduto in passato in Tibet e Xinjiang, nel 2020 è stata approvata una riforma dell’educazione che prevede che le scuole della Mongolia Interna sostituiscano la lingua mongola con il mandarino nell’insegnamento di alcune materie. Gli studenti hanno ora solo una lezione di lingua mongola a settimana. Gli insegnanti di lingua mongola sono stati così sostituiti da insegnanti di etnia Han, consolidando il cambiamento culturale della regione.

La sua esistenza all’interno dell’ordinamento amministrativo di Pechino è il risultato di un complesso sviluppo di eventi a livello storico. La Mongolia esterna, cioè il Paese con capitale Ulan Bator, conquista l’indipendenza dalla dinastia Qing nel 1911, al tramonto dell’impero cinese. La Repubblica di Cina dei nazionalisti del Kuomintang reprime le ribellioni dell’area e pacifica la Mongolia Interna. Col Partito comunista lo sviluppo è fortissimo a livello economico. Soprattutto dopo le grandi riforme di Deng Xiaoping. Per circa dieci anni, a partire dal 2000, la crescita del prodotto interno lordo della Mongolia interna è la più alta del Paese (insieme al Guangdong), grazie soprattutto alle risorse naturali di cui è ricca la regione. Come successo col Tibet, il rapido sviluppo economico della regione è funzionale al coinvolgimento e all’integrazione del territorio nelle politiche del governo centrale. 

Rispetto a Tibet prima e Xinjiang poi, la situazione della Mongolia Interna resta a lungo tranquilla. A parte alcune rivolte estemporanee della minoranza che si sente marginalizzata a causa di una redistribuzione del welfare non sempre omogenea. Ma le proteste più ampie si registrano proprio ad agosto 2020 dopo l’annuncio della riforma dell’istruzione. Il testo introduce il mandarino standard come mezzo di insegnamento in tre materie particolari e sostituisce tre libri di testo regionali, stampati in caratteri mongoli, con la serie di libri di testo unificati a livello nazionale editi dal ministero dell’Istruzione.

La lingua mongola è già entrata sul viale del tramonto, a prescindere dall’azione del governo cinese. In Mongolia interna, meno del quaranta per cento dei genitori mongoli sceglie per i propri figli scuole bilingui mongole, il resto iscrive i figli alle scuole cinesi tradizionali. Anche per questo, la riforma sembra destinata a ridurre ulteriormente lo spazio di utilizzo della lingua mongola. 

Pur priva delle spinte secessioniste presenti nelle ali più radicali delle opposizioni regionali in Tibet e Xinjiang, la Mongolia Interna entra nei radar del governo. Le autorità centrali giustificano sempre le loro azioni con la necessità di promuovere la stabilità. Il tentativo non è quello di cancellare le minoranze culturali, ma inserirle all’interno di canali di comunicazione ben definiti, come le danze o gli abiti tradizionali. Ma al di sopra deve sempre restare l’unità della nazione cinese, col Partito comunista grande garante dell’ordine pubblico e dello sviluppo. Dunque anche motore dell’unità storico-culturale di tutta la società cinese in senso ampio.

Secondo il Sydney Morning Herald, sta cambiando la situazione anche per i pastori nomadi che un tempo si estendevano sull’altopiano della Mongolia Interna. A giugno, i pastori della regione di Zaruud hanno tentato di bloccare l’acquisizione dei loro pascoli da parte di una società cinese. Senza successo. 

La popolazione locale è ampiamente impiegata dall’industria mineraria per via delle retribuzioni offerte, nonostante alcuni incidenti di cui l’ultimo si è verificato lo scorso febbraio col collasso di una miniera che ha provocato diverse vittime. Insieme alla centralizzazione economica della città più grande della provincia, Hohhot, la Mongolia interna si è ritrovata con un minor numero di gers (cioè le tende tradizionali della cultura mongola) e di famiglie nomadi che vi abitano.

A giugno, dalle parti di Hohhot si è presentato anche lo stesso Xi Jinping, che ha invitato la regione autonoma ad aderire alla sua posizione strategica, a perseguire uno sviluppo ecologico e a «impegnarsi per scrivere un nuovo capitolo della modernizzazione cinese», come recita l’agenzia di stampa statale Xinhua. Il presidente ha citato la transizione energetica tra gli obiettivi principali della leadership locale, lodando il ruolo che la Mongolia Interna gioca non solo come sede fondamentale di risorse naturali ed energetiche, ma anche come via d’accesso a una serie di regioni e Paesi a nord della Cina.

Tra queste, ovviamente, ci sono sia la Mongolia sia la Russia. Proprio per la Mongolia passerà entro qualche anno il Power of Siberia 2, il nuovo gasdotto che dovrebbe unire la Siberia russa alla Cina, aumentando in maniera rilevante l’approvvigionamento energetico di Pechino da Mosca. La riforma educativa ha creato qualche imbarazzo anche in Mongolia, dove proprio nel settembre 2020 durante l’implementazione della prima fase delle nuove norme si era recato il ministro degli Esteri Wang Yi, per prevenire eventuali problemi nel rapporto bilaterale. 

Durante la sua recente ispezione a Hohhot, Xi ha aggiunto che va creato «un forte senso di comunità per la nazione cinese». In che modo? Con «l’introduzione di leggi, regolamenti, politiche e misure» atte a «favorire il rafforzamento dei punti in comune della nazione cinese e il miglioramento del senso di comunità per la nazione cinese». Principi ribaditi a fine agosto durante una visita di Xi nello Xinjiang, di ritorno dal summit dei Brics in Sudafrica. Proprio in quei giorni, secondo Radio Free Asia le autorità hanno vietato “A General History of the Mongols”, un libro sulla storia della popolazione mongola tacciato di «nichilismo storico». Le minoranze possono esistere, ma non possono riscrivere la storia senza seguire la visione della grande nazione cinese.