I lavori per la prima centrale nucleare in territorio turco non sono ancora terminati, ma il presidente Recep Tayyip Erdogan è già pronto a siglare un nuovo accordo per il prossimo sito. Con effetti non solo sul piano energetico, ma anche su quello delle relazioni internazionali. Il progetto infatti non piace agli americani, che già in passato hanno criticato la scelta di Erdogan di affidarsi alla russa Rosatom per la costruzione della centrale di Akkuyu.
Il prossimo partner della Turchia non è meno scomodo di quello precedente. A occuparsi del sito che sorgerà a Kirklareli, al confine tra Grecia e Bulgaria, sarà la Cina. I due Paesi sono da tempo in trattativa, ma qualche giorno fa il ministro dell’Energia Alparslan Bayraktar ha annunciato che si arriverà molto presto a un accordo per la nuova centrale. In realtà la Cina non era l’unico partner interessato al programma nucleare turco. Anche la Russia e la Corea del Sud si sono fatte avanti e non è detto che la Turchia non raggiunga un accordo anche con Mosca o Seul per un terzo sito, la cui realizzazione è già tra gli obiettivi del governo Erdogan.
Il presidente ha più volte promesso in campagna elettorale di voler diminuire la dipendenza del Paese dalle importazioni energetiche e abbattere i costi di gas e luce, saliti vertiginosamente negli ultimi anni a causa della svalutazione della lira. La Turchia ha importato energia per novantanove miliardi di dollari nel 2022 e ha dovuto chiedere a Mosca una dilazione nei pagamenti sul gas per poter rimpinguare le riserve estere e fare così fronte all’aumento dei costi dell’energia.
Le centrali dunque dovrebbero servire a rendere la Turchia più indipendente sul piano energetico, ma non è esattamente così. Il sito di Akkuyu resterà di proprietà della russa Rosatom per i prossimi venticinque anni, periodo di tempo necessario per ripagare la società costruttrice, e non si conoscono ancora i dettagli dell’accordo con la Cina. Al momento dunque è difficile parlare realmente di indipendenza energetica della Turchia.
Ma a investire nel Paese saranno anche gli Emirati Arabi Uniti. Ankara e Abu Dhabi hanno firmato e ratificato tredici accordi di cooperazione del valore di 50,7 miliardi di dollari in diversi campi tra cui quello energetico. A muovere i primi passi in questo senso sarà la società emiratina Masdar, che dovrebbe presto acquistare azioni dell’azienda Fiba Renewable Energy Inc. specializzata in energia eolica.
I piani di Erdogan però non si fermano qui. Il presidente turco ha più volte dichiarato di essere pronto a collaborare con Grecia e Israele per la risoluzione delle controversie internazionali e regionali che ancora dividono le tre nazioni per poter avviare progetti congiunti proprio in campo energetico.
Le dispute, infatti, riguardano anche la gestione dei giacimenti di gas nel Mediterraneo e l’East-Med, progetto che prevede la costruzione di un gasdotto che colleghi Israele con l’Europa passando per Cipro – isola divisa tra Grecia e Turchia dal 1974 – e dal quale Ankara è stata fin da subito esclusa.
Erdogan però punta a rendere il suo Paese un hub regionale dell’energia e per farlo ha bisogno di intessere le giuste relazioni sul piano internazionale, ponendosi anche come anello di congiunzione tra Oriente e Occidente. Il ruolo di mediatore giocato dal presidente nel contesto della guerra in Ucraina ha aiutato Erdogan a portare avanti questo progetto, ma il capo di Stato turco ha un nuovo rivale: il corridoio indo-europeo.
Noto con la sigla di Imec (o Imic, in italiano), l’India-Middle East-Europe Economic Corridor è un accordo nato come alternativa al progetto cinese della Nuova Via della Seta e prevede un collegamento nave-treno-nave fra l’India, Golfo, Israele e l’Europa, passando per il Mediterraneo.
Al progetto ha aderito anche l’Italia, mentre non vi è traccia della Turchia, ancora una volta esclusa. Non sorprende dunque l’opposizione del presidente Erdogan al progetto, quantomeno nella sua forma attuale, né quella della Cina, che vede l’Imec come una minaccia alla sua Via della Seta.
In attesa di essere invitato a fare parte del corridoio, Erdogan non ha certo intenzione di restare a mani vuote. Gli accordi con la Cina e la Russia si inseriscono perfettamente in questo contesto e nel più generale tentativo del presidente turco di avere relazioni tanto con l’Occidente, quanto con le potenze più a Oriente, vista anche la turbolenza nei rapporti con l’Ue.
L’ultima relazione rilasciata dal Parlamento europeo è stata ancora una volta critica nei confronti della Turchia, accusata di non rispettare i diritti umani e i valori democratici, mentre la Svezia continua a non adeguarsi alle richieste avanzate da Ankara in cambio del nullaosta all’entrata del Paese scandinavo nella Nato. Per Erdogan dunque è importante bilanciare le sue relazioni con l’Occidente con rapporti più stretti con i partner a Oriente e in questo senso gli accordi economici sono un’ottima carta da giocare.