Inversione di rottaIl cinismo politico di Sunak minaccia gli obiettivi climatici del Regno Unito

Il leader dei conservatori, in vista della campagna elettorale, ingigantisce l’impatto economico della transizione ecologica, sottovalutando i costi dell’inazione climatica e alimentando gli interessi dell’industria fossile (che dopo la frenata “green” annunciata settimana scorsa si sta sfregando le mani). Per la prima volta, il riscaldamento globale è destinato a rivestire un ruolo centrale nel dibattito politico del Paese

Rishi Sunak in visita il 21 settembre al Writtle University College a Chelmsford (AP Photo/LaPresse)

Dopo un’estate di sussurri sull’impegno vacillante del Regno Unito nella lotta al cambiamento climatico, il primo ministro Rishi Sunak ha annunciato la sua intenzione di ridimensionare gli obiettivi ambientali del Paese, abbandonando o ritardando parti fondamentali della strategia climatica del suo governo. In un discorso organizzato in fretta e furia da Downing Street lo scorso 20 settembre, dopo che alcuni dettagli erano trapelati alla stampa, il leader del Partito conservatore ha criticato i suoi predecessori per aver imposto «costi inutili» ai cittadini.

«Per troppi anni i politici nei governi di ogni genere non sono stati onesti riguardo ai costi e ai compromessi delle politiche ambientali. Hanno invece preso la strada più semplice, facendoci credere che possiamo avere tutto», ha detto. Sostenendo che il Paese debba combattere la crisi climatica senza penalizzare i contribuenti, Sunak ha presentato il «nuovo e proporzionato approccio» del governo alle politiche ambientali. 

Tra i vari cambiamenti introdotti, il primo ministro ha dichiarato di aver rinviato il divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2030 al 2035, specificando che tale mossa avrebbe portato il Regno Unito – che finora è stato uno dei leader del nostro continente nella lotta al cambiamento climatico (ha dimezzato le sue emissioni rispetto al 1990) – in linea con gli altri Paesi dell’Unione europea.

Sunak ha inoltre allentato l’obiettivo di eliminazione graduale di caldaie a gas e petrolio entro il 2035, affermando che il suo approccio «pragmatico» consentirebbe comunque al Regno Unito di raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette di carbonio entro il 2050, senza far pagare alle famiglie «fatture inutili» in un periodo in cui il costo della vita continua a crescere. Non è tutto, perché il governo ha anche intenzione di abbandonare i progetti che porteranno all’istituzione di una tassazione extra sulla carne e sui viaggi aerei. 

Il ragionamento del governo, senza dubbio testato dai suoi consiglieri attraverso sondaggi e focus group, è che l’opinione pubblica sia attualmente più interessata al qui e ora piuttosto che al 2030 o al 2050. Tuttavia, il ridimensionamento degli impegni ambientali da parte di Sunak innesca importanti ripercussioni industriali, sia a breve che a lungo termine. Inoltre, conferma l’inedita centralità delle questioni climatiche all’interno della politica britannica, che attende con trepidazione l’avvio della campagna elettorale: settimana prossima, a Manchester, si terrà il congresso dei conservatori, mentre a Liverpool quello dei laburisti. Entrambi i partiti, al di là delle divergenze, hanno spesso sostenuto le azioni di mitigazione climatica, ma la musica è destinata a cambiare. 

Una delle conseguenze più immediate delle decisioni di Sunak è senza dubbio l’incertezza per le industrie del settore. Per spingere l’economia del Regno Unito verso la neutralità climatica, servono infatti investimenti. Questi possono ovviamente aprire importanti opportunità di crescita per il Paese intero, ma le imprese hanno bisogno di certezze per poter investire. All’inizio dell’anno, la “Revisione indipendente della neutralità climatica” aveva lanciato un severo avvertimento al governo contro un approccio altalenante, esprimendo le preoccupazioni dell’industria dinanzi a cambiamenti politici che rischiano di ridurre «la fiducia degli investitori e degli sviluppatori, aumentando il costo del capitale e il costo complessivo della decarbonizzazione». 

Rimandare di ben cinque anni la data di uscita dal mercato dei nuovi veicoli a benzina e diesel – dopo che a luglio il segretario di Stato per le Pari opportunità, l’Edilizia abitativa e le Comunità, il conservatore Michael Gove, aveva definito la scadenza del 2030 «immutabile» – è esattamente il tipo di incertezza politica che mette a rischio gli investimenti aziendali e compromette la capacità del Regno Unito di cogliere le opportunità della green economy. Non per altro, alcuni produttori di automobili sono stati tra i primi a esprimere la loro indignazione sulle nuove politiche del governo. 

Oltre a minacciare gli investimenti nei settori verdi e limitare la creazione di posti di lavoro, il rinvio allo stop dei motori a benzina e diesel avrà anche un significativo costo sui cittadini. Al contrario di quanto proclamato da Sunak. Intervistato dal Guardian, Bob Ward, direttore delle Politiche e delle Comunicazioni presso il Grantham research institute on climate change and the environment della London school of economics, ha dichiarato: «Questo slittamento esporrà gli automobilisti del Regno Unito alla volatilità dei prezzi internazionali del petrolio, in aumento a causa dei tagli da parte dei maggiori produttori come Russia e Arabia Saudita. La dipendenza del Regno Unito dai combustibili fossili è costosa ed economicamente dannosa». 

Lo stesso principio vale per le emissioni edilizie. Sebbene il Regno Unito abbia il patrimonio abitativo più scarsamente isolato d’Europa, Sunak ha annunciato che non chiederà più ai proprietari di casa di raggiungere tutti gli obiettivi di efficienza energetica. Di fatto, non saranno più previste multe per chi non si allinea. Ciò farà sì risparmiare un costo immediato ai cittadini – che non dovranno pagare per isolare le case in cui non vivono –, ma i loro affittuari saranno costretti a sostenere bollette particolarmente salate. Secondo una ricerca, infatti, coloro che vivono in appartamenti scarsamente isolati spendono circa mille sterline in più di gas ed elettricità durante i mesi invernali.

Al di là dell’impatto diretto sulle tasche dei contribuenti, gli esperti sottolineano che il costo di gran lunga maggiore sia quello derivante dall’inazione climatica. L’Office for budget responsibility ha infatti evidenziato come i costi derivanti dalla continua dipendenza dai combustibili fossili siano più del doppio rispetto a quelli necessari per raggiungere il net-zero. E se già prima dell’indebolimento delle varie politiche green vi erano seri dubbi sulla capacità del Regno Unito di farcela entro il 2050, ora lo scetticismo è ancora più diffuso. 

Con i costi dell’inazione nettamente superiori ai costi dell’azione, qualsiasi deviazione dal percorso verso la neutralità carbonica sarebbe un fallimento economico oltre che ambientale per il Regno Unito. E sarebbe il risultato del cinismo politico di Sunak. 

Questa inversione di rotta è stata progettata per stabilire una linea di demarcazione tra il governo conservatore e l’opposizione laburista in vista delle elezioni generali del prossimo anno. Sunak sta infatti cercando di inviare un segnale politico: vuole dimostrare la vicinanza del suo partito a chi vive nelle zone economicamente più in difficoltà del Paese, molte delle quali – stando ai recenti sondaggi – sarebbero più orientate al voto Labour. 

Sollecitato nel dare una risposta all’annuncio di Downing Street, il Partito laburista ha ribadito l’impegno a mantenere il divieto del 2030 sulla vendita di nuove auto a benzina e diesel. Il ministro ombra per l’Ambiente, Steve Reed, ha commentato: «Il primo ministro ha svenduto la più grande opportunità economica del XXI secolo, quella di guidare il mondo nella transizione verso nuovi posti di lavoro sicuri e ben retribuiti dell’economia sostenibile».

Durante la campagna elettorale, il governo alimenterà costantemente l’idea che la transizione ecologica ed energetica sia costosa, dannosa e inutilmente lunga. Di conseguenza, il sottotesto di tale retorica suggerisce che la crisi climatica non sia così urgente e pervasiva. Ricordiamo che è stato lo stesso Sunak a impegnarsi a concedere centinaia di nuove licenze per l’esplorazione di giacimenti di gas e petrolio nel mare del Nord. 

A meno di un repentino cambio di rotta, di una massiccia ribellione parlamentare o di una sofisticata manovra politica – qualcosa che Sunak non ha mostrato di essere in grado di fare – il governo conservatore sta per rendere il Regno Unito più dipendente dalle importazioni di combustibili fossili in un momento di crisi globale dell’approvvigionamento energetico, minando gli investimenti e la fiducia delle imprese e indebolendo l’azione climatica. 

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