In Germania, dal 2024, in tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere installati sistemi a pompa di calore per il riscaldamento. Anche in futuro, chi dovrà sostituire un vecchio impianto potrà farlo solo con questi macchinari in grado di trasferire energia termica da un ambiente più freddo a uno più caldo. La decisione segue quella dei Paesi Bassi, che nel maggio 2022 avevano annunciato di introdurre l’obbligo di sostituire le vecchie caldaie a gas a partire dal 2026. La legge tedesca è stata proposta da Robert Habeck, ministro dell’Economia e della Protezione climatica, e prevede che i nuovi impianti dovranno essere alimentati per il sessantacinque per cento da fonti rinnovabili: questo fa della Germania il primo Paese europeo con una normativa così rigida in materia energetica.
La decisione del Parlamento tedesco sta creando alcune preoccupazioni – principalmente economiche – tra i cittadini. In un condominio da sei appartamenti, installare una pompa può costare dai trentottomila ai settantottomila euro. Il governo, però, coprirà fino al quaranta per cento dei costi per l’acquisto e l’installazione, con un tasso di sovvenzione di base del venticinque per cento. Anche con i sussidi, però, chi ha una casa potrebbe ritrovarsi a spendere migliaia di euro.
«L’unica difficoltà nell’installazione delle pompe di calore in città è il costo – spiega a Linkiesta il professor Livio De Santoli, prorettore per la Sostenibilità all’università La Sapienza di Roma. Secondo l’esperto, «non c’è nessun altro ostacolo, perché queste tecnologie sono un sistema elettrico che utilizza fonti rinnovabili e che può essere adattato all’interno di una ristrutturazione esistente, facendo riferimento alla distribuzione già presente negli edifici con un grande risparmio di energia».
Le pompe “a compressione” producono energia termica prendendo il calore da una fonte esterna come l’aria, l’acqua o il suolo. Un compressore agisce sul fluido/gas presente al loro interno, aumentando la temperatura dell’energia assorbita, trasferita poi all’ambiente da tubazioni ed elementi terminali. Per quanto riguarda la refrigerazione, invece, queste tecnologie si comportano come un frigorifero prelevando calore dall’interno e pompandolo all’esterno. Ne esistono di diverse tipologie in base alla fonte di estrazione, come quelle geotermiche (prendono energia dalla terra) e quelle aria-acqua (riescono anche a riscaldare l’acqua per uso domestico). Il pregio delle pompe di calore sta nella loro efficienza: l’energia da loro prodotta è infatti quattro-cinque volte superiore a quella necessaria per farle funzionare.
In Europa, il sessanta per cento degli edifici è di vecchia costruzione: «Per quanto riguarda gli edifici antichi, protetti e vincolati – spiega il professore – non esiste una soluzione ottimale. Un bravo progettista con competenze specifiche deve valutare caso per caso. L’isolamento termico delle case vecchie viene preso in considerazione automaticamente nei lavori di efficientamento energetico». Regole un po’ diverse, quindi. In generale, però, la sostituzione delle vecchie caldaie anche a livello condominiale non comporta particolari problematiche.
Secondo De Santoli, «le pompe di calore occupano lo stesso spazio degli impianti da sostituire e spesso i condomini sono provvisti di un terrazzo, necessario per dissipare una quota dell’energia all’esterno». Il Green deal europeo considera la decarbonizzazione del sistema energetico fondamentale per realizzare gli obiettivi climatici al 2030 (riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il quaranta per cento rispetto ai livelli del 1990). In più, per rispettare gli accordi di Parigi bisognerebbe elettrificare un quarto della domanda di calore invernale degli edifici: «Elettrificare è un obbligo – dice De Santoli – e lo si può fare con fonti rinnovabili e con l’efficienza energetica, facendo ricerca, eliminando perdite e sprechi. Quindi anche gli utenti devono avere un comportamento più attento».
Nel contesto europeo la Germania ha solo anticipato quella che probabilmente diventerà la situazione di ogni singolo Paese. Secondo il piano REPowerEU, le pompe di calore dell’Unione europea dovranno triplicare prima della fine di questo decennio, arrivando a quarantacinque milioni di unità. Per raggiungere questo obiettivo ci vorranno sette milioni di installazioni l’anno (nel 2021 erano due milioni).
Nel 2023, però, si è fatto un grosso passo avanti. Con la direttiva sulle case green, approvata il 14 marzo dalla plenaria di Strasburgo, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissione zero a partire dal 2028. L’obiettivo è di agire prioritariamente sul quindici per cento delle case più energivore, che andranno così collocate dai diversi Paesi membri nella classe energetica più bassa, la G. Manca ancora il processo del Trilogo, cioè la fase di negoziati tra istituzioni europee che porterà al testo definitivo.
Il mercato intanto promette bene: in Europa è stato battuto un nuovo record nel 2022: la European heat pump association indica una crescita del trentotto per cento in un anno del numero di pompe di calore vendute, pari a tre milioni. Il sedici per cento degli edifici residenziali e commerciali del vecchio continente attinge a questa tecnologia per il riscaldamento. In testa ci sono i Paesi nordici: Norvegia, dove le pompe di calore servono il sessanta per cento delle famiglie, la Svezia (quarantatré per cento), la Finlandia (quarantuno per cento) e l’Estonia (trentaquattro per cento).
Anche l’Italia ha visto un incremento di vendite di queste tecnologie, con più di cinquecentomila pompe di calore vendute tra il 2021 e il 2022, pari a un aumento del trentasette per cento. «L’Italia è perfetta per l’utilizzo delle pompe di calore perché c’è anche il problema del raffrescamento da affrontare. Lo stesso impianto può fare due cose insieme, quindi c’è un doppio vantaggio», sottolinea De Santoli.
Ad aiutare gli italiani ci sono gli incentivi del governo: i principali sono Superbonus ed Ecobonus. Si tratta di detrazioni fiscali simili, da applicare ai lavori di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con sistemi centralizzati per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a condensazione o con pompa di calore. Sono inclusi in questa categoria anche gli impianti ibridi o geotermici. Il Superbonus approvato dal governo Conte – che prevede incentivi al centodieci per cento fino al 31 dicembre 2023 – è stata una delle voci più importanti del bilancio pubblico: si prevedeva una spesa di trentacinque miliardi, ma secondo gli ultimi dati forniti dall’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) si va verso i cento. Per questo, il governo Meloni ha chiuso a ipotesi di proroga del Superbonus 110 con la prossima legge di bilancio.
Dal primo gennaio la detrazione sarà del settanta per cento, per ridursi ancora al sessantacinque per cento a fine 2025 (e sarà destinata soltanto ai condomini). Per quanto riguarda l’Ecobonus, invece, la percentuale sarà del sessantacinque per cento fino a fine 2024. In vista dello scadere delle agevolazioni, Forza Italia rilancia il Superbonus fino al novanta per cento a partire dal 2025. Il ddl presentato dalla deputata Erica Mazzetti prevede detrazioni almeno decennali, che siano proporzionali agli incrementi di classi energetiche e indirettamente proporzionali al reddito, al fine di centrare gli obiettivi su clima ed efficienza energetica.
Intanto, l’Italia ha presentato alle istituzioni comunitarie il nuovo Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e ha incluso il capitolo REpowerEU per una sostenibilità sociale, a cominciare dalle ristrutturazioni verdi. Se le trattative andranno a buon fine, alle case popolari saranno destinati tre-quattro miliardi. Il nuovo Ecobonus “sociale” dovrebbe prevedere incentivi per l’efficientamento energetico fino al novanta per cento.
In uno scenario in cui la maggioranza, o quantomeno una parte, è intenzionata a incentivare l’elettrificazione dei consumi, è possibile replicare il modello tedesco? No, secondo De Santoli: «Il problema non è l’assenza di una normativa sugli Ecobonus. È una questione di volontà politica e di soldi a disposizione. Il bilancio che il governo presenterà tra un mese è in regressione (le risorse a disposizione sono limitate e potrebbe essere costretto ad aumentare il deficit, ndr). Mi sembra che a livello politico non si voglia abbandonare il gas. Forse sarà difficile anche se mi auguro di no, spero di sbagliarmi» conclude il professore.