È possibile lasciare un’eredità politica senza nemmeno aver compiuto trentotto anni? A giudicare da quello che sta accadendo in Finlandia in questi giorni, la risposta è positiva. D’altronde non è da tutti diventare la più giovane premier della storia del Paese, e attraversare i due momenti più critici del secondo dopoguerra dovendo prendere decisioni senza precedenti.
In Italia, Sanna Marin la conosciamo per aver dato vita a un esecutivo guidato esclusivamente da donne (le cinque leader dello strano Pentapartito che ha guidato fino alla scorsa primavera), per il fatto di essere stata cresciuta da una coppia lesbica (il padre ha abbandonato la famiglia quando Sanna era bambina) e per la sua disinvoltura in ambienti festaioli. Su questo punto sarà bene tornare più tardi per inquadrare la politica finlandese nel suo insieme.
Se andassimo a chiedere ai finlandesi (o per lo meno quelli che l’hanno sostenuta), qual è l’immagine più appropriata per l’ex premier, probabilmente più d’uno risponderebbe citando un video del 2015, quando Sanna Marin, era “solo” presidente del Consiglio comunale e si è distinta per aver abilmente messo al loro posto, uno per uno, i consiglieri di opposizione che avevano provato a bloccare la proposta di una linea tramviaria praticando ostruzionismo in aula.
Il modus operandi di Sanna Marin non è cambiato quando ha dovuto prendere le redini del partito e del Paese. Anche qui, un po’ di contesto: il Partito Socialdemocratico, in Finlandia, era in declino da quasi un ventennio quando ha vinto nel 2019, più per i disastri del centrista Juha Sipilä che non per una reale alternativa. Come numerosi altri partiti europei aderenti alla stessa filosofia politica, stava subendo l’invecchiamento demografico della propria base e l’incapacità di attrarre nuovi simpatizzanti, orientati verso i Verdi o la sinistra radicale. Sanna Marin non era alla guida del partito alle elezioni della primavera 2019, ma quando il suo predecessore Antti Rinne è caduto per la pessima gestione di uno sciopero dei trasporti pubblici, lei e quello che da questa settimana l’ha sostituita, Antti Lindtman, si sono affrontati per una sfida inedita, fra due giovani anagraficamente lontani dalla gerontocrazia che li aveva preceduti.
Una volta diventata leader di un partito che, ormai, prendeva sberle a ogni occasione (alle Europee del 2014 era scivolato al quarto posto), ha dovuto mettere assieme i pezzi di un sistema politico complesso e che, talvolta, porta ad alleanze abbastanza impensabili in altri contesti. Tanto per fare un esempio, nel 2007 i Verdi governarono con il centro-destra, nel 2011 nacque un’ampia maggioranza che andava dai post-comunisti ai conservatori saltando a piè pari il centro e, adesso, il Partito dei Finlandesi è in un esecutivo con i Popolari della minoranza di lingua svedese, dopo che, per anni, i due se le sono date di santa ragione sul ruolo della seconda lingua nazionale nella burocrazia e nell’educazione (un tema non di poco conto per l’identità nazionale). Sanna Marin è riuscita a tenere in piedi il governo fino alla fine della legislatura senza perdere pezzi per strada, elemento non scontato considerata la distanza con alcuni alleati, ad esempio i centristi delle vice premier, prima Katri Kulmuni e poi Annika Saarikko. Era dal 2007 che non accadeva.
Sul suo pragmatismo si sono spese già molte righe in altri contesti, per cui è bene concentrarsi sui due aspetti chiave del suo mandato: pandemia e guerra in Ucraina. Nel primo caso, la risposta immediata non ha fatto una grinza, ma è mancata la prontezza sull’onda lunga. La Finlandia ha mantenuto un numero di vittime da Covid in rapporto alla popolazione più basso rispetto alla media europea, ma il numero dei decessi è decollato quando l’emergenza era quasi conclusa altrove.
La guerra in Ucraina, invece, ha comportato l’interruzione di una neutralità che sembrava scolpita nell’animo del Paese: i milletrecento chilometri di confine con la Russia avevano spinto a favorire i legami con l’allora Unione Sovietica uno dei padri della Finlandia moderna, il presidente semi-eterno Urho Kekkonen. Uno che ai comunisti aveva sparato durante la guerra civile del 1918 e, stando alle testimonianze dei suoi oppositori, non aveva risparmiato le torture durante gli anni trascorsi in polizia. Quel legame con l’Unione Sovietica, così estraneo alle ideologie che contraddistinguevano il resto d’Europa, era stato rinsaldato anche da quello che, di Kekkonen, avrebbe dovuto essere il delfino: alla fine degli anni Ottanta, l’allora ministro degli Esteri centrista Paavo Väyrynen aveva pubblicato una tesi in cui immaginava un futuro dominato dal blocco orientale. Perfino la prima presidente donna del paese, Tarja Halonen, socialdemocratica, rimase a lungo fautrice della neutralità e delle buone relazioni con la Russia e Vladimir Putin.
Con premesse del genere ci sarebbe da domandarsi dove si è impantanata Sanna Marin. Alle elezioni di aprile, le è stata rinfacciata una certa leggerezza nella spesa pubblica, tanto che il ministero delle Finanze, a pochi giorni dal voto, aveva prefigurato la necessità di forti tagli per l’esecutivo che sarebbe seguito. Qui, complici anche le battute finali della campagna elettorale, è venuta meno la principale qualità di cui Sanna Marin poteva godere, ovvero l’affidabilità e la garanzia di stabilità per un paese che, anche in un’epoca relativamente recente come i primi anni Novanta, ha dovuto fare i conti con le sue crisi economiche.
E quel video dove canta «Siamo la gang della farina» assieme agli amici a una festa? Mettiamola così, chi riteneva Sanna Marin inadeguata per il suo compito, avrebbe continuato a farlo anche senza un video con vaghi riferimenti al consumo di cocaina (tra l’altro escluso dal test anti-droga dell’ex premier), mentre chi l’ha sostenuta, lo ha fatto anche nella convinzione di essere rappresentato. Perché, almeno dal punto di vista della narrazione, Sanna Marin è stata la cosa migliore successa al Partito Socialdemocratico. Di fronte a una lunga lista di personaggi politici tutto sommato noiosi e piuttosto conformisti (incluse due premier donne), Marin ha tirato fuori l’anima cool della socialdemocrazia scandinava e, in un mondo dove conta soprattutto l’immagine che ti dai, è più che sufficiente.
Il risultato? Alle elezioni del 2023 si è verificato quanto osservato in Danimarca e in Svezia: i socialdemocratici crescono rosicchiando consensi ai verdi e alla sinistra radicale. Per la serie, rimettere la chiesa al centro del villaggio. Nonostante il calo del blocco dei partiti che l’ha sostenuta, a Sanna Marin è mancato un seggio per poter conservare la maggioranza. Ha preso settantamila voti in più rispetto al suo predecessore, con affluenza sostanzialmente invariata.
Sul suo passo indietro, è difficile pensare che abbia contribuito la vittoria della destra alle elezioni: alle stesse condizioni, Magdalena Andersson, in Svezia, si è messa in testa l’elmetto (non solo figurativamente) ed è andata a fare guerra dai banchi dell’opposizione; Sanna Marin si è arresa proprio mentre montavano le voci sulla prossima fine del suo matrimonio. D’altronde, la sua omologa Jacinda Ardern aveva ammesso di essersi dimessa a causa allo stress accumulato durante il periodo alla guida della Nuova Zelanda.
Al suo posto arriva un altro nato negli anni Ottanta, proprio a cavallo fra la Gen X e i Millennial, ma Antti Lindtman condivide con Sanna Marin giusto il decennio di nascita. I due si erano sfidati, senza esclusione di colpi, durante la lotta per la leadership dopo le dimissioni di Rinne. Dopo la sua vittoria, Sanna Marin ha preferito tenerlo all’Eduskunta, senza affidargli incarichi governativi.
Per il resto, Lindtman è un Richelieu molto attento alle dinamiche parlamentari, sostenuto dall’ala sindacalista dei socialdemocratici e che prima di laurearsi ha lavorato come camionista. Profilo poco social, le sue prime azioni da segretario sono state favorire il sostegno al fine vita e confermare la linea ecologista dei socialdemocratici, quest’ultimo un gesto che qualcuno potrebbe leggere come una concessione a Marin, altri come la volontà di non dare seguito alle critiche di chi lo giudicava poco interessato alla questione climatica. Quasi certo anche il lancio dell’ex segretaria del partito, Jutta Urpilainen, come candidata alla presidenza della Repubblica il prossimo gennaio.
«È sicuramente un leader politico più moderato sia rispetto a Sanna Marin, che la sua sfidante al congresso, Krista Kiuru», spiega Antti Pilke, corrispondente politico della emittente di stato Yle. «I prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del governo di centro-destra, anche se è probabile che la crisi possa rientrare. Possiamo aspettarci da Lindtman una maggiore apertura ad una collaborazione con i conservatori, se ce ne dovesse essere bisogno». E Sanna Marin? «Dopo il suo discorso di congedo dalla guida del partito, non ha rilasciato dichiarazioni, neppure sul suo futuro. Probabilmente rimarrà ancora in parlamento, senza nuovi incarichi», dice Pilke.
Dal congresso di Jyväskylä, uno di quelli alla vecchia maniera con delegati e mozioni (di primarie, qui, non ne parla nessuno) ne esce un partito più allineato ai “fratelli” nordici. La linea Marin, quella che ha cercato di dipingere la Finlandia come una culla del progressismo moderno, prometteva bene, ha dato qualche frutto e ha allargato la base di un partito moribondo, ma è finita presto e male, dimostrando che, al solito, il modello di riferimento dell’attivismo, per lo più social, di mezza Europa, era più apprezzato fuori dai confini che al suo interno e si è ripiegato sulle fragilità della sua stessa interprete.
A Lindtman due compiti rilevanti nel breve termine: trovare il modo di gestire la prossima crisi di governo, forse solo posticipata, cercando di bilanciare il ruolo di opposizione responsabile e quello di chiara alternativa alla destra, e mantenere solido il consenso attorno al partito, in particolar modo alle Europee dove, storicamente, il centro-sinistra finlandese non è mai riuscito a portare i propri sostenitori alle urne. Più difficile la partita per la presidenza della Repubblica, dove Urpilainen parte da outsider e i consensi probabilmente si divideranno fra l’indipendente Aaltola e il Verde Haavisto.