Cosa può definirsi eticamente corretto quando si fa impresa? Rispondere a questa domanda non è tanto un desiderio individuale dell’imprenditore, quanto un dictat della società moderna, sempre più sensibile alle tematiche di sostenibilità e attenta all’equilibrio tra gli aspetti prettamente economici e i valori sociali e ambientali. E sebbene il primo input venga dato dal consumatore consapevole, che esprimendo nuove esigenze costringe il mercato a piegarsi ai suoi bisogni, l’imprenditore può scegliere “spontaneamente” di prendere in considerazione – nel disegno della strategia aziendale – gli impatti del proprio operato. Perché un business non può pensare di suscitare interesse nella comunità solo perché genera occupazione come effetto collaterale del suo profitto. E oggi non è neppure sufficiente, almeno per il consumatore “intelligente”, il rispetto delle normative previste da organismi sovrastanti.
La classe imprenditoriale è chiamata ad andare oltre. E questo non significa sacrificare la sostenibilità economica in favore di cause più “nobili”, ma limitare quel gap storico tra dimensione finanziaria e socio-ambientale, sfruttando potenzialità che portino beneficio all’intero ecosistema. In questo contesto, le aziende vitivinicole più illuminate stanno trasformando una rivendicazione di diritti in opportunità, incrementando così la competitività di un settore che ancora oggi vede l’Italia tra i protagonisti assoluti del mercato globale.