Always take sidesIl dovere di parteggiare con l’aggredito (che è massacrato due volte)

Gli stragisti si avvalgono della complicità di chi non si occupa delle loro responsabilità se non giustificandole quando non riesce a coprirle e coprendole quando non riesce a giustificarle. Chi parteggia per l’aggressore non è un avversario, ma un nemico

AP Photo/Andres Kudacki

Presente «always take sides»? Ecco: quel proclama, quell’invito a parteggiare e a non assistere in modo apparentemente neutrale, e in realtà complice, al trionfo della violenza ingiusta e della sopraffazione, all’annullamento dei diritti e delle libertà individuali che è sempre, sistematicamente premessa di sopruso sulla stessa esistenza fisica, sulla stessa vita delle persone, esercita un doppio grado di coscrizione.

Il primo è il più tenue: è il richiamo rivolto alle persone civili e decenti che assistono alla violenza, al massacro indiscriminato degli inermi, al selvaggio uso della forza in violazione di ogni regola umanitaria e comunitaria, ma quando ancora nessuno parteggia per nessuno, quando ancora la scena è occupata solo dai massacratori e dai massacrati.

Il secondo richiamo è, o almeno dovrebbe essere, più stringente: è quello che reclama che si parteggi quando alcuni o tanti, come spesso succede, si comportano con l’intenzione o con l’effetto di parteggiare per i massacratori.

Quando cioè gli stragisti, i torturatori, gli sgozzatori, gli strupratori e i rapitori non si valgono soltanto della loro indicibile brutalità, ma appunto della complicità di chi agevola il loro lavoro e non si occupa delle loro responsabilità se non giustificandole quando non riesce a coprirle e coprendole quando non riesce a giustificarle.

Non è certo la prima volta che succede. Per stare al recente, si sa bene come il collaborazionismo pacifista di cui ha potuto avvalersi la belva russa abbia lavorato e continui a lavorare a pieno regime, a prima pagina sempre disponibile, a prime time sempre accogliente, e anche in quel caso si trattava e si tratta di rispondere al secondo tipo di appello: parteggiare tanto più fortemente per gli aggrediti perché essi non subivano solo l’azione dei macellai, dei razziatori, della soldataglia agli ordini dei generali che evocavano il dovere morale di bruciare i bambini ucraini, ma anche quella della compostezza democratica secondo cui «Putin sta puntando sui suoi obiettivi e nel frattempo cerca di non spaventare la popolazione», anche quella della feccia accademica secondo cui i bambini possono vivere felici in una dittatura, anche quella del malvissuto stalinista secondo cui i civili ucraini abbattuti dai cecchini russi erano «dei passanti», anche quella che per doveroso pluralismo riportava il lancio di agenzia secondo cui i bambini ucraini erano deportati affinché fossero sottratti alla genitorialità perversa di una stirpe di nazisti drogati.

Quando succede tutto questo, allora il tuo dovere di parteggiare per l’aggredito non risiede solo nel fatto che l’aggressore lo aggredisce: parteggi per l’aggredito perché mentre l’aggressore lo aggredisce c’è chi parteggia per l’aggressore, e cioè parteggi per chi è massacrato due volte, da chi lo massacra e da chi giustifica il massacro o ne nega l’esistenza, da chi ne attribuisce la colpa alle complessità del mondo o all’irresponsabilità del massacrato stesso, lo scellerato che non si arrende.

E ora? E ora ancora.

I bambini con la gola tagliata durante il pogrom del 7 ottobre (mica decapitati, come diceva la propaganda dell’entità sionista), i giovani falciati a centinaia sulla sabbia del deserto del Negev, le donne e le ragazze violentate e poi caricate con gli arti spezzati in mostra sui pick up dei «combattenti per la libertà», i cadaveri degli ebrei con gli occhi estirpati e la bocca piena degli escrementi degli assassini e poi, in un’unica e tutta congrua pagina di questo mostruoso spettacolo, le stelle disegnate in mezza Europa sulle case degli ebrei, gli assalti antisemiti a Londra, a Parigi, a Berlino, a Barcellona, i filo-sgozzatori che nella capitale di questo maledetto Paese, a pochi metri e a pochi giorni dall’insopportabile retorica sul rastrellamento nel Ghetto, gridavano «Fuori i sionisti da Roma».

Tutto questo compone una scena su cui incombe in modo tanto più grave, tanto più urgente, tanto più disperato quel monito, «always take sides». Perché non si tratta solamente di denunciare quella lunga teoria di scempio: si tratta di denunciare i tanti, i troppi che lo lasciano correre senza denunciarlo come si deve e che, in tal modo, se ne rendono responsabili. E si tratta di trattarli come devono essere trattati: non avversari, non diversi, ma nemici. Nemici.

Con la speranza di non dover mai più ascoltare quel loro inascoltabile “Mai più”, visto che bella fine ha fatto – grazie a loro – quella bolsa proclamazione.

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