Buio totaleHamas combatte la pace e stavolta non ci sarà un dopoguerra

I terroristi non hanno un progetto se non quello della distruzione di Israele, il “dopo” non gli interessa. Un conflitto tremendo che non chiuderà questa storia

Funerali di un miliziano di Hamas a Nur Shams, nella West Bank
AP Photo/Majdi Mohammed

Uno degli effetti peggiori della guerra è il non sapere. Innanzitutto, non sapere cosa sta succedendo. Tutti i romanzi del Novecento che parlano di guerra, per non dire di prima, fin dalla tragedie greche, girano intorno a questo rovello: che succede? Che succede a Stalingrado, domanda il giovane Janek di Romain Gary rintanato in una buca da qualche parte in Polonia? Che succede in Normandia, chiedono gli uomini del partigiano Johnny di Fenoglio? Che succede a Barcellona, chiede la Pilar di Hemingway? Che succede lassù nelle Fiandre, urla il re Filippo di Schiller.

Ora, noi, qui: che succede a Gaza? O a Odessa?

Dopo che nel 1991 Peter Arnett aveva mostrato la guerra del Golfo in diretta sulla Cnn ci avevano spiegato che possiamo vedere tutto in tv. Non è vero. La guerra non è trasparente. Continua a essere un mistero. Tra le sue infamie c’è che snerva, essendo la guerra l’attesa del passo successivo. Quando entra l’esercito israeliano a Gaza? Quando arriveranno i viveri dal valico di Rafah?

Siamo in un’epoca assurda nella quale si dimentica in fretta e ci si stanca di tutto, la strage del 7 ottobre è già lontana anche perché siamo consumati dalla nevrosi dell’incertezza sul quel che deve accadere, cioè sul futuro, e noi non siamo più in grado di tenere insieme passato e futuro.

Ma c’è un aspetto più di fondo: la confusa consapevolezza che stavolta non ci sarà un “dopoguerra”, come accade dopo i conflitti, ci sarà uno spostamento di rapporti, se va bene un compromesso, come tale temporaneo, ma non una soluzione – per quanto complicata – che abbia almeno l’aspetto formale della chiusura definitiva della battaglia.

In altre parole, sentiamo che si sta combattendo una guerra tremenda che non chiuderà questa storia. Hiroshima – non per questo la si rimpiange – la chiuse, quella storia. Ma dopo il rave di Re’im, gli sgozzamenti, le bombe, i missili, l’assedio ci sarà – meglio di questo, certo – ancora una provvisorietà, un rimando, un che di sdrucito.

Il fatto è che Hamas non sta combattendo la guerra: sta combattendo la pace. Per questo ha fatto il pogrom del 7 ottobre, per impedire un primo accordo tra Arabia Saudita e Israele, cioè ha sgozzato una possibilità di pace. Per questo è andato male il vertice del Cairo, a quel tavolo a cui si è seduta del tutto vanamente la nostra premier italiana tra il baldanzoso e l’immalinconito: c’erano troppi amici di Hamas.

Non è mai successo, ci pare, che si facesse la guerra per la guerra. I dittatori le hanno fatte per poi sedersi al tavolo della pace da vincitori, ma questo ai tagliagole non interessa minimamente. Per il terrorismo in effetti conta il presente e basta: c’è qualcuno che ancora crede che le Brigate rosse volessero fare il comunismo?.

Ugualmente Hamas non ha un progetto se non quello della pura e semplice distruzione di Israele. Il “dopo” non gli interessa. Questi sono come il Creonte di Sofocle: «Il nemico non diventa mai amico, nemmeno da morto».

Per cui non è sbagliato auspicare che venga un Messia, si è detto, un «nuovo Mandela» ma questo appare solo un sogno. Il compito di Madiba era più facile. Qui è buio totale, il buio che spaventa il bambino, che spaventa questo vecchissimo mondo diventato bambino in un giorno di ottobre.

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