Tendenza Clinton Il cessate il fuoco è un regalo ad Hamas (e allunga i tempi della guerra)

Israele è stato barbaramente attaccato e tutti concordano che ha il diritto di reagire e difendersi, certo con cautela. È fallace, perciò, dire che si sta vendicando, quando sta facendo un’operazione militare per liberare gli ostaggi ed evitare un altro attacco islamista

LaPresse

Hillary Clinton ieri ha detto che un cessate il fuoco sarebbe un regalo ad Hamas. L’ex segretaria di Stato ha toccato un punto nevralgico dell’attuale dibattito mondiale. Bisogna infatti chiedersi quanto sia realistica questa richiesta proprio mentre a Gaza la guerra divampa e segna già una tappa nuova: ieri le truppe israeliane hanno liberato un ostaggio dopo un combattimento. 

Senza poter entrare, perché non è il nostro mestiere, nelle dinamiche militari, sarebbe però necessario che tutti, a partire dai pacifisti che chiedono la sospensione delle ostilità, facessero un’operazione di verità acquisendo il fatto che la guerra è iniziata dal 7 ottobre quando insieme ai massacri nei kibbutz fu dichiarata da Hamas sulla spianata di Re’im sgozzando i ragazzi che avevano partecipato a un rave, sparando sui bagni chimici dove essi si nascondevano e portando via gli ostaggi. 

Proprio ieri è stato ritrovato il cranio di Shani Louk, la ragazza tedesca di ventidue anni rapita, torturata, esibita al ludibrio e coperta di sputi e infine decapitata. Israele, dicono tutti, ha il diritto di reagire e di difendersi. Però lo deve fare in modo «soft» evitando inutili stragi. Qui non è chiarissimo cosa si intende ma diciamo che è giusto. Dopodiché se l’intervento di Israele a Gaza è giustificato, esso non va raccontato come una vendetta ma come un’operazione militare che tutti speriamo finisca il più presto possibile. 

Ecco perché chiedere una pausa o il cessate il fuoco rischia paradossalmente di allungare i tempi, con tutto quello che ne consegue: e fra le conseguenze c’è quella che evidenzia Hillary Clinton, cioè dare respiro ai terroristi: «Sarebbe un dono per Hamas, perché darebbe loro il tempo di ricostruire i loro armamenti e di creare postazioni ancora più forti per respingere un assalto di Israele».

Insomma, bisognerebbe che il pacifismo fosse più realista. Invece la sensazione è che la filosofia arcobaleno in questa vicenda sia un po’ troppo generica, non prenda posizione chiaramente, parli lingue diverse, non faccia i conti con i dati di realtà, e forse è per questo che le sue manifestazioni di piazza sono state meno affollate di quelle –  truci ma nette – degli estremisti che calpestano le bandiere con la Stella di Davide. 

Un pacifismo politico serio non vive di slogan, quelli lasciamoli a lilligruberisti e carmenlasorellisti, ma sa indicare le colpe e i torti e cerca, sulla base di questo, di suggerire soluzioni, mentre se si omette di fare nomi e cognomi dei responsabili di questa catastrofe, come pretendeva di fare la risoluzione dell’Onu sulla quale giustamente l’Italia si è astenuta, si rischia di fare di tutta un’erba un fascio. Anche in questo senso la richiesta di cessate il fuoco, obiettivo in teoria giusto, rischia di essere un problema più che una soluzione. 

Mentre piuttosto andrebbe messo nell’agenda dei pacifisti il problema del rigurgito addirittura mondiale dell’antisemitismo, dal Daghestan, dove si è tentato un pogrom contro cittadini ebrei, una vicenda orrendamente enorme, fino al piccolo episodio del liceo “Righi” di Roma dove un professore ha dato un tema per mettere alla berlina un alunno italo-israeliano: «Provate a difendere l’apartheid di Israele come farebbe il vostro compagno». Se questo è il clima montante, c’è posta per i pacifisti.

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