Hustle secretsUn cortometraggio animato racconta la grottesca parodia dell’iperlavoro

Il protagonista del progetto grafico di Elizabeth Lum si cosparge gli occhi di balsamo di tigre per tenerli aperti, beve le sue stesse lacrime e non va al gabinetto. È uno schiavo della cosiddetta “cultura del trambusto” contemporanea, una narrazione che potrebbe essere sul punto di capitolare definitivamente

Elizabeth Lum: Hustle Secrets (Copyright © Elizabeth Lum, 2023)

Il protagonista del cortometraggio animato di Elizabeth Lum si chiama Tony Chan. È l’impiegato di un’azienda. Durante i tre minuti e poco più della durata del video espone comicamente, enfaticamente i suoi consigli per una maggiore produttività in ufficio. Come saltare la fila in ascensore, ad esempio. Come evitare di farsi sorprendere da fastidiose impellenze fisiologiche: andare in bagno, bere caffè, tenersi svegli, tenersi idratati. «My body is sponsored by my inability to take a break», dichiara. Il suo corpo non riesce, non è predisposto alla funzione di prendersi una pausa, al riposo. A metà tra un cartone rivolto a un pubblico infantile e l’estetica di un videogioco, Hustle Secrets è la perturbante parodia di ciò che oggi definiamo “hustle culture”, ovvero la “cultura del trambusto”, secondo l’odierna abitudine a nominare, sintetizzare in modo compulsivo i fenomeni psichici, sociali e comportamentali mediante etichette anglofone: un tentativo di portarli alla luce oppure di catalogarli in fretta e furia sperando che, alla stregua di una moda, di una tendenza, di una fase, scorrano via senza lasciare traccia?

Il cursore di un mouse punta incessantemente sullo schermo, a sottolineare quanto la prassi, l’ideologia digitale del mondo del lavoro sia diventata pervasiva. L’utente guarda un video che si prende gioco della cultura aziendale da un computer o da uno smartphone, ovvero gli strumenti con cui la cultura aziendale del lavoro ha trasfigurato le professioni, rendendosi martellante, intrusiva. Il volto stesso di Tony Chan è esposto in primo piano, robotico, lo sguardo fisso, vitreo. Una cornice continuamente si dilata e poi si chiude su di lui, mostrandone di volta in volta l’abito, l’uniforme giornaliera o soltanto lo sguardo, i cui occhi all’occorrenza si trasformano in due rubinetti. Si abbevera da questi, cioè ingerisce le sue stesse lacrime: «That’s why I wallow in my self- pity and swallow my tears».

I suoi colleghi letteralmente gattonano, strisciano carponi sul pavimento, spargendo grosse gocce azzurre dalle pupille. Il sottofondo sonoro è un alternarsi di ronzii, rumori di copisteria, il battere meccanico di una tastiera. Poi, di colpo, il silenzio. La macchina assordante del lavoro quotidiano riprende. È davvero un’autentica distopia di matrice giapponese, questo prodotto di Elizabeth Lum, che infatti è nata e cresciuta a Hong Kong, e solo di recente si è trasferita a Londra, per studiare design della comunicazione grafica. La narrazione sembrerebbe ambientata, anzi, collocata proprio in Giappone e la stessa Elizabeth ha ammesso che, al suo arrivo in Inghilterra, ha constatato un generale, maggiore equilibrio tra il lavoro e la vita privata, tra l’asservimento dei cittadini al proprio ruolo da dipendenti e la difesa del proprio spazio, della propria autonomia.

Elizabeth Lum: Hustle Secrets (Copyright © Elizabeth Lum, 2023)

Eppure, se oggi il termine hustle culture ha letteralmente invaso lo spazio mediatico, un motivo ci sarà. Tutti, ma proprio tutti parlano di burnout o di iper-lavoro, di quiet quitting o di great resignation senza che il paradigma contemporaneo regredisca nemmeno un po’, nemmeno di poco. Certo, ci sarà pure qualcuno che si dimette, che si è effettivamente dimesso, qualcuno che è stufo, stanco, critico. Resta il fatto che non esiste una dimensione davvero sostitutiva, per ora: le dominanti collettive del passato si sono erose. La famiglia, la patria, la fede religiosa, la fede politica hanno dimostrato tutta la loro fallibilità. Dal mondo, giungono notizie funeste. Il mondo stesso, prima o poi, esaurirà le sue risorse. All’individuo non rimane altra soluzione, altro appoggio, altra cura che l’investimento su di sé.

Il trambusto è infatti l’estensione del sottofondo sonoro della metropoli, del traffico, del viavai ricorrente di automobili, di migliaia di lavoratori e di consumatori che si spostano: un lamento persistente, quasi mitologico, che in passato si attribuiva soltanto a New York, la città che non dorme mai, e oggi è diventato un modello globale, l’unico possibile, anzi, l’unico auspicabile. Cosa succederebbe se l’individuo riconoscesse che il suo destino e i suoi sforzi per costruirlo fossero irrilevanti, non più decisivi e in fin dei conti privi di senso? Cosa succederebbe se l’investimento su di sé diventasse un ripiegamento in se stessi? Se, insomma, l’ultimo baluardo che ancora tiene insieme la civiltà occidentale e continuamente la sospinge innanzi, e cioè le mire individualistiche, il benessere dei singoli, venisse improvvisamente meno?

Elizabeth Lum: Hustle Secrets (Copyright © Elizabeth Lum, 2023)

Assisteremmo allora a un progressivo rifiuto di tutto ciò che prima costituiva una solida base personale e che ora farebbe rima con sacrificio, esaustività, spossatezza. Senso di inutilità. L’apatia dilagherebbe e in un certo senso è già così, se ne avvertono i primi segnali: l’atteggiamento più diffuso sarebbe abbandonare, dall’inglese to quit, le prove, le tappe della propria vita per il niente, per il nulla. Per un’idea di ozio privo di contenuti, di slanci. Elizabeth Lum ha dichiarato che non bisogna condannare gli hustlers, ma alleviarne la tensione attraverso l’umorismo. Un umorismo surreale, tragicomico. Per ora, l’ironia è lo strumento più efficace per decostruire un universo in via di disfacimento.

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