Wild SpiritsMicrodistillerie, fermentazioni selvagge e materia prima strepitosa, ad Haiti il rum è Clairin

Storia e successo di un distillato di canna da zucchero ancestrale

All’interno del percorso pioneristico e costante che il rum sta vivendo a livello mondiale, ci sono alcune realtà (illuminanti) che meritano un pensiero a parte. Un capitolo a parte, per via della storia densa che le caratterizza, della complessità e dell’unicità di luoghi, persone e produzioni. Come abbiamo già ribadito in altre occasioni, non è possibile parlare di rum in Italia omettendo la figura di Luca Gargano. Figlio del mondo, viaggiatore, esploratore intrepido e uomo dal fiuto eccezionale. A Gargano dobbiamo il merito di aver sviluppato una sensibilità e capacità rare per riconoscere liquidi dal potenziale eccezionale. E di averli saputi condividere. L’aver rilevato la Velier Spa nel 1983, azienda leader per l’importazione di distillati premium e l’imbottigliamento esclusivo di numerose etichette, ha permesso a questo imprenditore di essere il primo a importare vini dal Cile, dall’Argentina o dalla Nuova Zelanda così come di creare una gamma di white spirits latino-americani e ad avviare co-bottling con i principali produttori di single malt e rum.

La coscienza critica di tanti operatori del settore miscelazione verso i principali distillati di canna da zucchero si deve proprio a Gargano, quando a partire dal 1994 lancia le prime importazioni di rum caraibici. Negli anni Duemila nessuno in Europa conosceva ancora i rum della Guadalupa, da sempre vissuta come la sorella minore di Martinica anche in termini di produzioni di rum. L’Agricole era già molto apprezzato, ma in qualche modo ancora confinato in una nicchia di eletti appassionati bevitori, intenditori, e poco diffuso tra le attività commerciali.

Il primo viaggio ufficiale di Gargano ad Haiti risale al 2012 alla ricerca di botti di rum invecchiato (in realtà vi era stato un primo contatto con l’isola piuttosto hard core e per meno di ventiquattr’ore nel 2001, che lui stesso racconta con minuzia di dettagli e pathos nel suo primo libro Nomade tra i barili). Sono passati solo due anni dal terribile terremoto e l’impatto con il posto è ancora scioccante. «Haiti sembra Africa […] Tutto è a cielo aperto, senza nessun filtro culturale. Il bene e il male appaiono così come sono, senza maschere».

La scoperta della prima distilleria avviene per caso, seguendo un carro trainato da buoi e carico di canna da zucchero. Non pensate a nulla di strutturato perché il contesto è quanto di più rudimentale possiate immaginare: un mulino manuale per pressare la canna, un piccolo alambicco in funzione, fermentazioni selvagge in botti di legno e polli ruspanti che si aggirano per la stanza. Qui le chiamano guildive, a tutti gli effetti microdistillerie a conduzione familiare. Il liquido lavorato è presentato come Clairin, non rum. È chiaramente un rum ma gli indigeni non sono d’accordo con quella definizione (rum agricole se volessimo dargli una connotazione precisa anche se questo termine è valido solo all’interno della cerchia delle Antille francesi).

Nel corso del tempo, e delle conoscenze sul posto, Gargano capisce che ad Haiti tutto il rum bianco è chiamato indistintamente Clairin, mentre il rum invecchiato è Barbancourt, la distilleria più nota sull’isola e con oltre centocinquanta anni di storia. Se attualmente in tutti i Caraibi le distillerie sono circa una cinquantina, ad Haiti si contano almeno 532 alambicchi fumanti, proprio per il loro essere in qualche modo prassi e tradizione. «Nei villaggi, spesso semplici aggregazioni di case, si cucina su fiamma viva, si va a letto con il buio, si allevano animali da cortile e si raccolgono i frutti che la terra offre, ci si lava nei rii che attraversano le strade e non viceversa. E si beve il Clairin».

Coesistono realtà primitive, dove piccoli mulini di legno verticali sono messi in funzione dai tori, così come attività industriali e strutturate. Nello stesso viaggio, Gargano incontra Michel Sajous (oggi uno degli imbottigliamenti più di successo della linea Clairin di Velier), nella sua distilleria a Saint Michel de L’Attalaye, un altopiano circondato dalle montagne a circa quattrocento metri sopra il livello del mare.

Tra il 2012 e il 2013 l’isola viene esplorata in maniera sistematica e minuziosa alla scoperta delle sue infinite varietà di produzione. Arriva così il turno di Faubert Casimir, che ancora oggi porta avanti l’attività del padre Duncan, avviata nel 1979. Cinquanta ettari di canne Hawaii Blanche e canne Hawaii Rouge (canne tenere, non ibridate e ancora capaci di un succo cristallino) raccolte con un machete e trasportate da asini fino alla distilleria. Siamo nella zona del fiume Baradères, con casette coloniali in legno e una pista sterrata di almeno quaranta chilometri per arrivarvi. Come altri nella zona, Casimir durante la fermentazione aggiunge erbe e altre piante locali al puro succo di canna: citronella, anice stellato, talvolta anche zenzero. Inutile dire che il prodotto è eccellente e qualcosa di mai assaggiato prima. Pensare di imbottigliarlo è stato folle ma non impossibile, tant’è che siamo qui a parlarne oggi e con la possibilità di ordinarlo con facilità nei migliori cocktail bar italiani.

Da questo momento inizia un lavoro certosino, individuale, e imbevuto di relazioni umane ancora prima che professionali per realizzare un’impresa a dir poco epocale. La The Spirit of Haiti nasce quindi come società a supporto dei produttori locali promuovendo – insieme a Slow Food – un vero e proprio protocollo, un presidio che certifica i produttori del vero Clairin traditionnel di Haiti. Il responsabile del Presidio è proprio Michel Sajous e ne fanno parte anche Faubert Casimir, Fritz Vaval e Romelus Bethel, oltre ad altri sette produttori che non sono stati selezionati per imbottigliamenti, ma che seguono tutti gli aspetti produttivi del protocollo. Ancora una volta quindi si parla di terroir, ma in questa occasione più che mai a proposito delle diverse specificità di canna da zucchero – mai viste prime e ancora vergini di qualunque tipo di contaminazione.

Rispetto al Clairin Sajous, Casimir, Le Rocher, Vaval, Communal, Aysen (primo esperimento di invecchiamento in botte) si differenziano per aromaticità distintive dovute al processo produttivo, alla tipologia di canna e di coltivazione (ad esempio Sonson usa canna Madame Mauze che cresce in policoltura con banani e alberi da frutto che ritroviamo nella complessità del distillato, insieme ad una grande mineralità e alle note prettamente vegetali di questo stile).

Venendo alla distribuzione effettiva del prodotto e al suo grado di apprezzamento del grande pubblico, si vive ancora una fase di educazione costante e progressiva del consumatore verso il rum in primis e ancora di più verso prodotti di questo genere, estremamente complessi e alti in gradazione. Lato bartenders, il Clairin costituisce un distillato particolarmente unico con cui cimentarsi grazie a una versatilità estrema e un carattere molto marcato. Vi è mai capitato di ordinare un Daiquiri, rum cocktail per eccellenza, a base Clairin o con una piccola porzione di questo distillato al suo interno? Ecco, ora vi abbiamo dato un spunto per il vostro prossimo aperitivo!

Tutte le immagini courtesy Velier Spa

 

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