Non è agevole scrivere di Angela (Maria) Bottari, che complicazioni da tumore al polmone hanno portato via a settantotto anni nella sua Messina. Non lo è perché ripercorrerne la vita significa raccontare una stagione politica, quella degli anni Settanta-Ottanta, e la coeva fase di mutamenti sociali, di cui l’ex deputata del Pci è stata testimone e protagonista. Non lo è, soprattutto, per chi, come lo scrivente, l’ha conosciuta, apprezzata, amata quale amica e confidente. Nel tratteggiarne però la figura si cercherà, questo sì, di evitare quella retorica funebre, che a lei peraltro, donna schietta, concreta e talora persino ruvida, infastidiva non poco.
Nata nella città dello Stretto il 16 marzo 1945, Angela Bottari si forgiò politicamente nelle assemblee studentesche universitarie a partire dal 1968, quando era già madre e con un matrimonio appena naufragato. L’anno delle contestazioni giovanili, dei rivolgimenti sociali, delle lotte armate fu il vero spartiacque nella sua vita: segnò infatti l’inizio di quell’autentica liberazione, che s’era illusa di raggiungere, appena ventenne, sposandosi. Guardata con sospetto per scelte all’epoca controcorrente e incurante dei giudizi – di cui avvertiva pur sempre il peso –, s’iscrisse nel dicembre del 1971 al Partito comunista italiano, occupandosi, sin da subito, di diritti delle donne e diventando responsabile femminile della Federazione messinese. Eletta consigliera comunale a Messina nel 1975, approdò l’anno seguente a Montecitorio come deputata: vi sarebbe rimasta per tre legislature fino al 1987, quando chiese, fra lo stupore generale, di non essere ricandidata per un quarto mandato.
Bottari appartenne a quella generazione di giovani donne e parlamentari comuniste del post-Sessantotto, provenienti per lo più dalle province, che andarono a ingrossare il numero complessivo delle elette. Non a caso, la loro presenza alla Camera e al Senato divenne significativa proprio a partire dalle elezioni del 1976. Come già fatto a Messina – dove aveva fondato la locale Commissione femminile su indicazione di Simona Mafai e coinvolto giovani entusiaste e promettenti come la futura avvocata Carmen Currò –, anche in Parlamento continuò a occuparsi prioritariamente di diritti delle donne e a lavorare in sinergia con altre donne: sia dentro il partito, dove raggiunse la massima intesa soprattutto con le neo-elette Romana Bianchi, Rosanna Branciforti, Carla Nespolo, Ersilia Salvato, Maura Vagli, sia al di fuori, come nel caso delle democristiane Tina Anselmi, Maria Pia Garavaglia, Maria Eletta Martini, delle radicali Adele Faccio e Adelaide Aglietta, delle socialiste Maria Magnani Noya e Alma Agata Cappiello. Non a caso, riflettendo su quel periodo, era solita ripetere: «Noi il noi lo abbiamo praticato e non predicato».
Alla questione femminile, diversamente intesa secondo le istanze del movimento femminista e non più ristretta alla sola visione emancipazionista, Angela dedicò tempo e impegno in Aula e, ancor più, in Commissione Giustizia, di cui sarebbe stata sempre componente fino al 1987. Fu lì, in sede legislativa, che lei, corregionale di Franca Viola, assunse, dal dicembre 1978 fino alla fine della VII legislatura (19 giugno 1979), l’incarico di relatrice del progetto di legge per l’abrogazione della rilevanza penale del delitto d’onore. Poco conta che l’approvazione sarebbe arrivata, in terza lettura, il 22 luglio 1981 con promulgazione del 5 agosto successivo (legge 442).
Poco conta che del pdl era stato relatore in Commissione Giustizia del Senato Mario Gozzini (Sinistra indipendente), laddove era stata relatrice in Commissione Giustizia della Camera la citata Maria Pia Garavaglia. La portata simbolica del ruolo politico di Angela in quella vicenda fu, infatti, tale e tanta che decenni dopo Viola Ardone si sarebbe ispirata proprio a lei per il personaggio di Liliana nel suo capolavoro “Oliva Denaro”. Ma la madre di tutte le sue battaglie fu quella contro la violenza sessuale, al cui riguardo presentò il 2 dicembre 1977 la prima proposta di legge in assoluto recante Nuove norme a tutela della libertà sessuale.
A investirla ufficialmente al riguardo era stata Adriana Seroni, responsabile della Commissione femminile nazionale del Pci, e figura eminente nel partito insieme a nomi dal calibro di Nilde Iotti, Marisa Rodano, Giglia Tedesco: proverbiale il suo atteggiamento maternamente protettivo verso quelle che chiamava «le sue bimbe». Annunziata e ferma al deferimento in Commissione Giustizia, che era stata costretta ad affrontare le questioni del terrorismo stragista e dell’uccisione di Aldo Moro, la proposta di legge essa fu ripresentata dalla prima firmataria il 26 giugno 1979 e, una terza volta, il 12 luglio 1983.
Fu allora che Angela ebbe l’incarico di relatrice. Ma il 18 agosto 1984, con l’approvazione del testo da parte dell’Aula della Camera che ne fu però anche la pietra tombale – si sarebbe dovuto aspettare il 1996 per avere la legge 66, o Finocchiaro-Mussolini, contro la violenza sessuale sulle donne –, avvenne l’impensabile: tra le ire di Nilde Iotti, Giorgio Napolitano e altri vertici del partito – ma non del segretario Enrico Berlinguer –, la deputata messinese si dimise dall’incarico. Infatti, l’Aula aveva poco prima approvato un emendamento inaccettabile, e non solo al movimento femminista, del pro life Carlo Casini: da delitto contro la persona, la violenza sessuale era stata ricondotta all’alveo di delitto contro la moralità pubblica e il buon costume secondo il dettato del Codice Rocco.
Così, anni dopo, la stessa Bottari avrebbe raccontato quei momenti concitati a Martina Castigliani: «Io, Romana Bianchi, Carla Nespolo, il gruppetto delle donne che si occupavano di diritti, ci eravamo consultate. Avevamo detto che se per caso fosse successo qualcosa che snaturava la legge… Ma io non pensavo già all’articolo 1. Restai attonita. Allora mi girai guardando le mie compagne. E successe una cosa… Carla Nespolo mi fece con la manina il segno di alzarmi. Prima che Iotti passasse all’articolo successivo, io chiesi la parola e dissi che mi dimettevo […]. Fui molto rimproverata anche dalla presidente della Camera Nilde Iotti perché non onoravo il mio ruolo. Fui criticata dal partito e messa sotto pressione: mi chiesero di ritirare le dimissioni, cosa che non feci assolutamente. Mi ero dimessa e basta, piuttosto si arenava la legge. Politicamente, all’interno del partito, la pagai questa insubordinazione. Però capivo che la legge non poteva passare così. Tant’è vero che ero più in sintonia col Paese: alcuni giorni dopo ci fu una grandissima manifestazione a Roma e vennero donne da tutta Italia. Fu la prova tangibile che le donne del Paese non accettavano che la legge venisse approvata in quel modo. Ho avuto la loro solidarietà» (Libere. Il nostro No ai matrimoni forzati, PaperFIRST, Roma 2022, pp. 171-172)
Successivamente segretaria della Federazione messinese del Pci (1986-1989), segretaria regionale del Pds (1996-1998), assessora alla Riqualificazione urbana e alle Politiche abitative del Comune di Messina (2005-2007) fino all’ultimo ruolo di componente della Direzione regionale siciliana del Partito democratico, la «trasgressiva, preparata, libera», Angela Bottari – per usare le parole di una delle donne politiche da lei sempre amata e apprezzata quale Livia Turco – non limitò mai il suo impegno per le libertà e i diritti delle persone alle sole donne.
Fondamentale il suo contributo all’approvazione della legge 164/1982, che normando la rettificazione di attribuzione di sesso riconosceva per la prima volta alle persone trans una dignità a lungo misconosciuta e poneva fine a un annoso calvario giudiziario per le stesse, e il sostegno alle battaglie rivendicative del movimento LGBT+ fino al fu ddl Zan. Partecipando al primo anniversario del delitto degli ziti, che si tenne a Giarre il 22 novembre 1981, e a tutte le successive manifestazioni commemorative fino al recente documentario di History e Crime+Investigation, Angela è stata la prima parlamentare in assoluto a far conoscere sin da subito la storia di amore e di morte di Giorgio e Toni, sviluppando in parallelo la fondata riflessione sulla cultura patriarcale quale unica matrice della misoginia e dell’omo-lesbo-bi-transfobia.
Tante le dichiarazioni, che da ieri si susseguono sulla morte dell’ex deputata messinese. Ma forse le più belle e sentite restano quelle dell’ex compagno di partito Pietro Folena, che dal 1989 al 1992, quale segretario regionale del Pci (poi Pds) in Sicilia, collaborò intensamente con lei: dopo essersi rivolto al marito Gioacchino Silvestro, ai cinque figlie e figli «di questa bellissima famiglia aperta e allargata» e ai nove nipoti, ha definito Angela «angelo femminista, e comunista libertaria, […] coraggiosa combattente contro ogni sopruso e prepotenza, a partire da quelli maschili». Per lui era rimasta nel tempo «sempre la stessa, sempre una ragazza libera e abituata ad andare controcorrente, come quando da giovane era entrata in Parlamento. E poi torna il nostro passato comune, dalle lotte per i diritti a un’opera difficile di rinnovamento del Partito siciliano a cui abbiamo dato un pezzo importante della vita».