Polvere velenosaLe tempeste di sabbia non sono slegate dal cambiamento climatico

Spesso questi fenomeni atmosferici non provocano decessi immediati o feriti gravi, ma hanno un impatto ambientale e sanitario transfrontaliero e di lungo periodo. E il riscaldamento globale, spiega l’Onu, li sta rendendo più intensi, frequenti e imprevedibili

Una tempesta di sabbia a Baghdad, in Iraq (AP Photo/LaPresse, ph. Ali Abdul Hassan)

Ondate di calore, alluvioni, siccità, perdita di biodiversità, incendi boschivi, fusione dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari. I principali effetti della crisi climatica, dovuta alle emissioni antropiche di gas serra, sono ormai ben noti a tutti. Il riscaldamento globale ha però un effetto moltiplicatore in grado di esacerbare fenomeni non strettamente connessi al clima che cambia. Tra questi ci sono le tempeste di sabbia e polvere (Sds), che provocano danni incalcolabili soprattutto nei Paesi meno sviluppati (già in ginocchio a causa di sistemi agricoli compromessi dalla carenza di precipitazioni).

Il tema è al centro del Cric 21, la ventunesima sessione del Comitato per la revisione dell’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (Unccd), in corso fino al 17 novembre a Samarcanda, in Uzbekistan. In questi giorni, la Unccd vuole porre enfasi su due aspetti: da una parte la sottovalutazione mediatica e politica del problema, dall’altro l’impatto delle attività antropiche. Stando ai dati presentati dall’agenzia dell’Onu, infatti, almeno il venticinque per cento di questi eventi atmosferici sarebbe attribuito alle azioni dell’uomo. 

Tra i Paesi più colpiti da questi fenomeni c’è ad esempio l’Iran, dove nel 2022 – nel giro di un mese – si sono verificate sei tempeste di sabbia e polvere minerale che hanno provocato vittime e ricoveri per disturbi respiratori. Quest’estate, a circa un mese dal devastante terremoto della notte tra l’8 e il 9 settembre, è stato il turno di Marrakech, in Marocco, dove il cielo si è oscurato all’improvviso e le raffiche di vento di circa ottanta chilometri orari hanno invaso la città di polvere color ocra. 

Le tempeste di sabbia, generalmente, si scatenano nelle zone aride e semi-aride a basse latitudini, dove la copertura vegetale è scarsa o assente. Uno degli hotspot globali è l’Asia centrale, ricoperta per l’ottanta per cento da deserti e steppe. Qui, alla frontiera tra l’Uzbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpakstan) e il Kazakistan, si trova ciò che resta del lago salato d’Aral, senz’acqua da più di trent’anni a causa dello sfruttamento delle risorse idriche a scopi industriali (nella zona si produce tantissimo cotone). Secondo la Unccd, oggi il bacino emette più di cento milioni di tonnellate di polvere e sali «velenosi». 

L’Europa, però, non è totalmente esclusa da questi fenomeni atmosferici. In Spagna, per esempio, etichettano con il nome calima le tempeste di sabbia provenienti dal deserto del Sahara, che solitamente colpiscono le Canarie. Nel 2022, però, la polvere è arrivata fino alla Spagna centrale, colorando di arancione chiaro il cielo della capitale Madrid.

Le tempeste di sabbia e polvere sono innescate da venti dalla velocità minima di cinquantacinque-sessantacinque chilometri orari e un’umidità dell’aria inferiore al settanta per cento. Le particelle più fini sono in grado di depositarsi a migliaia di chilometri di distanza, cambiando Stato e addirittura Continente: ecco perché questi eventi non rappresentano problemi limitati ai Paesi in cui si verifica l’epicentro. 

«Le tempeste di sabbia hanno impatti transfrontalieri sostanziali e influenzano vari aspetti dell’ambiente, del clima, della salute, dell’agricoltura, dei mezzi di sussistenza e del benessere socio-economico degli individui», spiega Feras Ziadat, funzionario tecnico dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e presidente della Coalizione Onu per la lotta alle tempeste di sabbia e polvere. 

Questi eventi sono fenomeni naturali stagionali, e in alcune zone del mondo si osservano da secoli. Di solito non fanno notizia, a meno di casi eccezionali e particolarmente dannosi per le popolazioni locali. Secondo gli esperti della Unccd, però, le tempeste di sabbia sono enfatizzate dalla malagestione del territorio e delle acque, dalla siccità e dai cambiamenti climatici di origine antropica. Questo mix di cause può impattare negativamente sull’intensità, l’entità e la durata di questi disastri naturali, rendendoli più imprevedibili e pericolosi per gli esseri umani, gli animali e i raccolti. Non a caso, l’Ipcc ha classificato le tempeste di sabbia e polvere come «ostacoli» allo sviluppo sostenibile. 

La stima annunciata a Samarcanda è di due miliardi di tonnellate di sabbia e polvere che ogni anno entrano nell’atmosfera: un peso pari a trecentocinquanta Piramidi di Cheope. In alcune aree desertiche, sottolinea l’organo delle Nazioni unite, la polvere è raddoppiata nell’ultimo secolo. A causa dell’emergenza climatica, quindi, questi fenomeni atmosferici stanno diventando più violenti e frequenti.

Nelle zone in cui si innescano, le tempeste di sabbia e polvere danneggiano le coltivazioni, feriscono o uccidono il bestiame e compromettono la fertilità del suolo. E non è tutto, perché l’effetto combinato con l’inquinamento atmosferico “classico” – generato dal biossido di azoto o dal particolato fine – può rivelarsi un pericolo per la salute umana. Tuttavia, specificano le Nazioni unite, il rapporto causa-effetto tra la sabbia nell’atmosfera e le patologie respiratorie «rimane poco chiaro e richiede studi più approfonditi». 

La scarsa visibilità, dovuta alla diffusione della sabbia nell’aria, può bloccare il traffico aereo, la produzione di energia elettrica e il normale funzionamento del trasporto pubblico. E i granelli di polvere, minuscoli ma insidiosi, possono provocare guasti meccanici all’interno delle fabbriche e delle aziende dei territori più colpiti. 

Secondo la Unccd, l’impatto economico di queste tempeste sul settore petrolifero in Kuwait è pari a centonovanta milioni di dollari l’anno, mentre in Australia – nel 2009 – un singolo evento del genere ha provocato danni tra i duecentoventinove e i duecentoquarantatré milioni di dollari. 

Durante la conferenza di questi giorni, l’Onu sta facendo pressione affinché le tempeste di sabbia e polvere vengano trattate come vere catastrofi naturali. Questi fenomeni sono sottostimati perché, nella stragrande maggioranza dei casi, non provocano decessi o feriti gravi, ma anche per via della carenza di studi scientifici sulle loro conseguenze sanitarie ed economiche a lungo termine. Come in ogni aspetto, parlarne è già un punto di partenza. Ma i Paesi sottosviluppati dell’Asia centrale e dell’Africa settentrionale hanno bisogno di risposte e aiuti concreti. 

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