Dreyfus 2023L’antisemitismo sbandierato dei musulmani d’Europa

Nel continente ci sono trenta milioni e più di ammiratori di Hamas, concittadini che di fatto o apprezzano o non si scandalizzano per un pogrom di ebrei. Una frattura nell’essenza stessa di questa terra

Claudio Furlan/LaPresse

«Aprite i confini, uccidiamo gli ebrei!». Questo abbiamo sentito gridare nelle vie di Milano. «Rivedrete Hitler all’inferno!», minaccia un cartello nella manifestazione di Bologna. A Parigi, ottanta case e sedi di ebrei sono state marchiate per sfregio con la stella di Davide. A Berlino, i manifestanti hanno assaltato due sinagoghe. Le aggressioni antisemite dal 7 ottobre a oggi in Francia sono ottocentocinquantasette, il sessanta per cento contro le persone. In Italia sono quarantadue. Ovunque, in Europa, gli ebrei hanno paura.

Viviamo, di nuovo, il clima mefitico del processo Dreyfus. L’Europa si divide sul tradimento, sul sangue degli ebrei. Un tempo cupo. Di vergogna. Il tentato pogrom all’aereo israeliano in Daghestan, le centinaia di musulmani che al grido di «morte a Israele» protestano per la bandiera di Israele sul municipio di Monfalcone, i centomila a Londra, per due settimane di seguito, e le migliaia a Milano e a Roma e ovunque che strappano la bandiera di Israele e urlano «Palestina dal Giordano al mare» cioè «distruggiamo Israele». Tutto questo è solo la punta di un iceberg inquietante: in Europa abbiamo trenta milioni e più di ammiratori di Hamas, alcuni esaltano e giubilano nelle piazze all’orribile pogrom di millequattrocento ebrei, donne e bambini, altri lo apprezzano in silenzio, altri lo giustificano come «resistenza». Sono le decine e decine di milioni di immigrati musulmani di prima, seconda e terza generazione. E si contano sulla punta delle dita quelli che si dissociano e condannano la strage di ebrei. Un quadro terribile, una frattura, uno iato nell’essenza stessa dell’Europa che può essere insanabile e dalle conseguenze devastanti in un continente ormai offeso da migliaia di atti di antisemitismo.

Un episodio apparentemente marginale, non di antisemitismo, spiega quale clima si respiri in Francia. Sono ben duecentottanta gli studenti liceali, immigrati di seconda generazione, che si sono rifiutati di rendere omaggio ai due professori Samuel Paty e Dominique Bernard massacrati da jihadisti. Per loro sgozzarli era giusto perché hanno offeso l’Islam.

Dunque, in Europa abbiamo un problema. Grave. Conviviamo con decine di milioni di concittadini che di fatto o apprezzano o non si scandalizzano per un pogrom di ebrei. Rare, rarissime le eccezioni. Anche in Italia. Abbiamo addirittura sciagurati, come l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon in Francia che rifiutano di condannare il pogrom ai confini di Gaza nel cinico intento di raccogliere i voti degli immigrati di seconda o terza generazione, cittadini francesi, ormai. I giovani delle banlieue in primis.

Come si è arrivati a questo punto – per ignavia e sconsideratezza – è noto ed Henry Kissinger ce lo rimprovera: «È stato un grave errore fare entrare tante persone di religione, valori e cultura diversi». Soprattutto stride l’abisso che ci separa sui valori. Perché sono, dovrebbero essere universali. Ma così non è.

Inascoltato, anzi ferocemente criticato, ventitré anni fa il cardinale di Bologna Giacomo Biffi era stato lucido profeta: «Gli islamici – nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione – vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra “umanità” individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più “laicamente” irrinunciabile: più o meno dichiaratamente essi vengono da noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro. (…) hanno un diritto di famiglia incompatibile con il nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli Stati occidentali moderni a dover fare bene i conti al loro riguardo». Estranei alla nostra umanità. Questo è il punto.

Venti anni dopo, col suo famoso discorso di Mureux, Emmanuel Macron, liberale e progressista, già ministro in un governo socialista, ha fatto i conti e ha preso atto che la partita rischia ormai di essere persa. Ha denunciato come una «cancrena della Repubblica» il «separatismo» praticato da una componente grande dell’immigrazione islamica che «pretende di far valere le regole della sharia sopra e contro le leggi della Repubblica».

Ma, con la strage di ebrei del 7 ottobre, è stato fatto un passo oltre. Ci divide da milioni e milioni di immigrati islamici il ripudio di un pogrom. Un antisemitismo che ormai non ha più timore di manifestarsi sfacciatamente. E questo è ben più grave, irreparabile.

Che fare dunque? Si può porre rimedio all’irreparabile? Decenni e decenni di irenico dialogo interreligioso sono naufragati sulla reazione di decine di milioni di immigrati in Europa al pogrom ai confini di Gaza. Le denunce populiste di certa destra restano tali: utili, forse, solo a prender voti. Sterili e dannose.

C’è uno spiraglio, uno solo e minimo: dare voce a quella esigua minoranza di musulmani che rigettano il jihadismo senza se e senza ma – non solo a parole – e che denunciano, almeno in cuor loro, il pogrom degli ebrei.

Ci sono. Sono pochi. Ma trovarli e dare loro voce è compito urgente di una politica lungimirante. Nei fatti questo significa occuparsi della formazione degli Imam, che oggi in Europa viene fatta essenzialmente dai Fratelli Musulmani – a Chateau Chinon in Francia. Significa dare vita a media che parlino e scrivano in arabo e che veicolino valori universali contro il dogmatismo shariatico. Significa intraprendere un difficile cammino che tenti – l’impresa è quasi disperata – di recuperare un terreno di comunicazione e di intesa con un Islam in Europa che o esalta il pogrom del 7 ottobre o lo condivide in silenzio o, al massimo, si dimostra indifferente. Significa rendersi conto che siamo di nuovo di fronte all’innocente Dreyfus. In peggio.

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