Il modo più semplice per arrivare all’Aquila è… partire in auto da Roma. Non ci sono molte altre alternative, se non qualche bus sempre dalla Capitale. Come se il capoluogo abruzzese fosse una sorta di prolungamento extraurbano della città capitolina. Basta poco più di un’ora di viaggio, però, per essere il più lontano possibile dall’idea di caos metropolitano.
A L’Aquila ci vai perché hai qualcosa da fare lì, è una città con cui i più non hanno familiarità. Almeno così è stato fino al giorno del terremoto del 6 aprile del 2009, quando una scossa di magnitudo 6.3 colpì la conca aquilana in piena notte. Da quel momento la città del centro Italia divenne nota a tutti. Ma quale città? Quella ferita, accasciata, dolente, con dieci miliardi di danni stimati. Le immagini del centro storico, in grigio e bianco per la polvere dei calcinacci, divennero il simbolo di un timore grande, quello che nessuno sarebbe più tornato a vivere lì. Tra i primi commercianti a riaprire ci furono ristoratori e bottegai e furono tantissime le tv nazionali e internazionali che parlarono del cibo come elemento di riscatto e di resistenza.
Oggi nella Piazza del Duomo la cosa più ingombrante rimane il cantiere. Conosciuta anche come Piazza del Mercato è, con il suo ettaro e più di ampiezza, tra le più grandi d’Italia. È il cuore commerciale della città dal 1303 e non a caso, pur essendoci diversi edifici storici, non vi è nessun palazzo nobiliare, perché la piazza è sempre stata considerata uno spazio pubblico cittadino, appartenente agli aquilani. Con un certo orgoglio lo ribadisce Francesco Dioletta, gelataio e proprietario di Gelaterie Duomo in piazza dal 1985 (oggi le sedi sono quattro).
Il suo saluto è una coppetta di gelato al gusto Radio L’Aquila, ovvero torrone e zafferano, dedicato all’emittente più ascoltata in zona. L’oro rosso della conca aquilana – ovvero lo zafferano – è uno dei vanti del territorio e Dioletta sottolinea la relazione tra la preziosità del prodotto e la determinazione della sua gente: «Prima del terremoto – racconta il gelataio – L’Aquila era frequentata da oltre ventimila studenti che rimanevano in piazza fino a tardi, è sempre stato un posto tranquillo ma vivo. Poi tutto è cambiato dopo il sisma. Il mio locale è stato il primo a riaprire, era il 2016 e abbiamo fatto una grande festa, distribuendo otto quintali di gelato a diecimila persone. Da quel momento è cambiato anche il mio percorso, mi sono concentrato di più sulla gelateria e meno sul bar, pensando che la rinascita passasse ancor più dalla qualità».
La Bottega da Marcello, sempre in piazza, ha dovuto invece aspettare il 2020 per riaprire. Insegna storica della città da più di settant’anni, vende quanto di meglio l’Abruzzo può mettere in tavola, vini inclusi. Marcello è un ragazzone sorridente che taglia il prosciutto al coltello e che non svela i suoi fornitori di salumi: «Alcuni sono così piccoli che è difficile rintracciarli o andarli a trovare. Quindi mi limito a comprargli il prodotto e a venderlo nel miglior modo possibile». Che nel suo caso significa preparare dei panini – ma la dimensione non corrisponde al diminutivo – davvero golosi e sfoggia con orgoglio anche la selezione di formaggi dall’azienda Valle Scannese del compianto Gregorio Rotolo, il maestro dei pecorini abruzzesi.
Un po’ di turisti ci sono e comprano la box con dentro pane salumi e formaggi. Non sono i numeri di un tempo – L’Aquila era la quinta città in Italia per visite nel centro storico – ma c’è che si è attrezzato per raccontare il territorio con qualcosa di inconsueto, come la linea cosmetica Tindora a base di zafferano. C’è un negozio monomarca in piazza e tra una chiacchiera anti-ageing e una prova del siero per il contorno occhi – pare che Cleopatra lo usasse come illuminante – si inizia a familiarizzare con lo zafferano dell’Aquila Dop.
Si lascia la città per spostarsi verso l’altopiano di Navelli, nella provincia aquilana. È, dopo la Sardegna, il luogo dove si produce più zafferano in Italia, tanto che questa spezia, originaria dell’Asia, ne è diventata il simbolo, dipingendo di lilla tutto lo storytelling del territorio. A tutelarlo è la Dop nata nel 2005, mentre la promozione tocca all’associazione culturale Le Vie dello Zafferano che mette assieme una cinquantina di produttori presenti in tredici comuni della conca aquilana.
Il cambiamento climatico si è fatto sentire anche da queste parti e periodi siccitosi alternati a piogge violente hanno contrassegnato negativamente la raccolta dell’oro rosso abruzzese. Se un tempo, infatti, gli stimmi rossi del Crocus sativus raggiungevano i clienti più esigenti di tutta Europa, oggi la bilancia difficilmente pesa più di una ventina di chili all’anno. Parliamo comunque di uno dei prodotti dell’agroalimentare più remunerativi in assoluto: un chilo di zafferano vale circa trentamila euro. Ecco perché l’associazione punta molto sulla Banca dello Zafferano, una sorta di sportello che ha l’obiettivo di regalare i bulbi della pianta a coloro che hanno intenzione di avviare nuovi impianti produttivi nell’area geografica delimitata dal disciplinare.
Ci spostiamo in campo a San Pio delle Camere, uno dei tredici comuni della Conca. A guidarci nella raccolta è Niccolò Papini, giovane agricoltore metà lombardo e metà abruzzese. Con accento bresciano ma con testa aquilana racconta che ama vivere e lavorare in queste zone, tra le piane e le montagne: «Molti coltivano lo zafferano, ma non viene bene ovunque – spiega Niccolò – qui è il terreno carsico a fare la differenza perché non crea ristagni d’acqua. Poi ci sono le escursioni termiche tra il giorno e la notte perché ci troviamo in un altopiano chiuso tra i massicci. Il fiore dello zafferano va raccolto presto, quando il sole albeggia e fa ancora freddo. Va staccato e non tirato e la corolla va aperta per prelevare gli stimmi. Viene fatto tutto a mano, anche la selezione e l’essiccatura tramite un setaccio poggiato su braci di legno di mandorlo e querciolo. Navelli è l’unico posto al mondo dove la raccolta avviene una sola volta all’anno, anziché due».
La fioritura è un momento magico e si concentra tra il mese di ottobre e l’inizio di novembre. Trattandosi di un fiore sterile è al bulbo che tocca la riproduzione e questo può dare vita a più fiori nel periodo della raccolta. La produzione dello zafferano non è mai l’unica attività di queste famiglie di agricoltori, ma rappresenta una voce economica importante. Non a caso rimane la spezia più contraffatta che c’è. È anche vero che per farne un chilo servono duecentomila fiori e molta fatica per raccoglierli e “caparli”, ovvero sfiorarli.
Anche Pio Feneziani, sindaco di Pio delle Camere, coltiva lo zafferano ed è stato tra gli ideatori di “Raccogli Conosci e Degusta”, la manifestazione di fine ottobre che porta turisti e curiosi in paese a conoscere la famosa spezia: «Con lo zafferano un tempo ci costruivamo le chiese, come quella di San Bernardino all’Aquila, e in città c’erano le stanze dello zafferano per il commercio del prodotto tra 1300 e 1600. Il prezzo veniva deciso in base a quello dell’oro. All’epoca si parlava di tonnellate, oggi di pochi chili. Alcuni arabi volevano acquistarne trenta chili ma non è stato possibile accontentarli».
L’idea dello zafferano come volano turistico e prodotto per il radicamento sul territorio piace anche a Sonia Fiucci, presidente dell’associazione Le Vie dello Zafferano e, alla bisogna, producer per location cinematografiche ambientate in regione. Da queste parti infatti hanno girato scene del film “Ferrari”, della serie “Mago Merlino”, la fiction “Il Nome della Rosa” e “Dante” di Pupi Avati: «L’Abruzzo ha nei suoi spazi e nei suoi abitanti una visione ampia e autentica – sottolinea Fiucci – ecco perché è importante rimanere. Ci stiamo provando anche con lo zafferano, negli ultimi due anni sono nati dieci giovani produttori e le camere di commercio dell’Aquila e di Teramo hanno creato dei corsi di formazione. Lo raccontiamo anche nelle scuole con una pièce teatrale prodotta da Teatro dei 99 dedicata all’oro rosso».