Nuove geografieLa più grande Big Oil occidentale vuole convertirsi al litio

L’estrazione e la lavorazione dei metalli critici possono rappresentare per ExxonMobil, compagnia petrolifera statunitense, un modo per adattarsi alla transizione energetica senza stravolgere la sua struttura e riducendo la dipendenza da Cina e Sudamerica

AP Photo/LaPresse (Ph. Matias Delacroix)

Il 13 novembre la compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil, la più grande tra le Big Oil occidentali, ha annunciato l’inizio delle trivellazioni nella formazione Smackover, in Arkansas. Ma l’azienda non sta cercando il greggio (l’oro nero) com’è sua consuetudine, bensì il litio, il metallo bianco-argenteo che fa da base per le batterie che alimentano le auto elettriche e conservano l’energia rinnovabile. Un materiale quindi essenziale per la transizione verde.

L’avvio della produzione è previsto per il 2027. Nel giro di pochi anni, entro il 2030, Exxon conta di raggiungere un livello di output tale da soddisfare il fabbisogno di un milione di veicoli elettrici: significa che dovrà produrre all’incirca centomila tonnellate di litio l’anno, un volume che la catapulterebbe in prossimità dei pesi massimi del settore come l’americana Albemarle (343mila tonnellate previste al 2027) e la cilena Sqm (302mila tonnellate, sempre al 2027). Da Big Oil, Exxon diventerebbe anche una Big Lithium.

Non è detto, però, che queste ambizioni si realizzeranno. La tecnologia che Exxon utilizzerà nei depositi d’acqua salata della Smackover si chiama “estrazione diretta del litio” e, benché sia molto promettente, non è ancora matura a livello commerciale.

Sul piano teorico, l’estrazione diretta del litio dalle acque salate – anche detta Dle – è migliore del tradizionale processo di evaporazione dagli stagni. Mentre infatti quest’ultimo procedimento è poco efficiente, lungo, occupa tanto suolo e consuma molta acqua, l’estrazione diretta ha tassi di recupero del metallo superiori (ottanta per cento contro cinquanta per cento, circa) e una durata misurata in giorni anziché in mesi. Inoltre, gli impianti di estrazione diretta hanno dimensioni più contenute e richiedono meno acqua.

Il vantaggio della Dle, dunque, è sia ambientale sia economico. Ma il vantaggio è anche politico perché, permettendo di sfruttare con profitto anche i giacimenti con basse concentrazioni dell’elemento, questa tecnologia potrebbe rivoluzionare la geografia dell’estrazione del litio, riducendo la centralità del Sudamerica (dove si concentrano le risorse globali) e della Cina (che domina la raffinazione della materia grezza). 

A guadagnarci di più dalla Dle potrebbero essere gli Stati Uniti e il Nord America, grazie ai loro ricchi campi petroliferi. È un aspetto che Exxon ha avuto cura di sottolineare: con il progetto in Arkansas, ha annunciato, «stiamo producendo litio a livello nazionale, invece di importarlo dalla Cina e da altri paesi».

Exxon dice poi di vedere delle somiglianze tra i classici procedimenti estrattivi di idrocarburi e l’estrazione diretta del litio, che prevede il pompaggio e il trattamento di liquidi e che si può applicare anche alle acque reflue del fracking. Di questa possibilità è convinta Pioneer Natural Resources, una delle più importanti aziende trivellatrici di petrolio shale che proprio Exxon ha acquistato a ottobre per sessanta miliardi di dollari. 

L’estrazione e la lavorazione dei metalli critici possono rappresentare per Exxon un modo per adattarsi alla transizione energetica senza stravolgere la sua struttura e senza sacrificare le sue competenze, ma anzi riadattando il know-how a settori adiacenti al business primario. Non a caso la compagnia si sta dedicando alla cattura del carbonio (una tecnica sviluppata dall’industria petrolifera), all’idrogeno e ai biocarburanti. Lo stesso, grossomodo, sta facendo anche la “collega” statunitense Chevron, mentre le concorrenti europee hanno generalmente investito di più nelle fonti rinnovabili.

Se riuscirà a diventare una fornitrice rilevante di litio per l’industria automobilistica, Exxon potrà mitigare le conseguenze economiche del calo della domanda di benzina e gasolio per la mobilità privata, ottenendo invece una fetta di un mercato – quello del litio, appunto – che dovrebbe allargarsi parecchio nei prossimi anni con la diffusione dei veicoli elettrici e la marginalizzazione del motore endotermico.

Dopo una cinquantina d’anni, insomma, Exxon fa ritorno al litio: l’azienda, grazie al lavoro del chimico Stanley Whittingham, aveva infatti svolto un ruolo cruciale nell’invenzione della batteria agli ioni di litio. Sempre negli anni Settanta, Exxon era attiva anche nelle tecnologie nucleari e nell’estrazione di uranio, ma abbandonò tutte queste attività per tornare a concentrarsi sui combustibili fossili. La transizione ecologica globale sembra aver incoraggiato il ritorno alla diversificazione dagli idrocarburi.

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