Tesori dei boschiEcco le castagne, ora sì che è autunno

In passato pane quotidiano per contadini e abitanti delle montagne, ancora oggi il frutto autunnale per antonomasia è molto amato e può essere valorizzato in una moltitudine di ricette, soprattutto salate

Foto di Alexandra Stam su Unsplash

Un tempo, un tempo molto remoto, erano “il pane dei poveri”. Oggi, il regno delle castagne si divide e si polarizza tra alberi inselvatichiti sparsi sull’Appennino, residuo di antiche coltivazioni, i marroni lucidi con prezzi da gioielleria dei fruttivendoli, le invitanti caldarroste dei banchetti e a volte, ma solo a volte, le castagne secche, che si trovano anche al supermercato ma che non tutti sanno bene come utilizzare. E che invece, tacchino ripieno a parte, bollite a lungo con il latte e con lo zucchero, ma anche con il vino, miele e zenzero, sono un dessert semplice e genuino da preparare anche fuori stagione.

Versatili, sostanziose, prive di glutine, quindi adatte anche ai celiaci, simili al riso e al frumento sotto il profilo nutrizionale tanto da essere paragonate a un “cereale che cresce sull’albero”, ci accompagnano, pare, fin dal Terziario, quando, dieci milioni di anni fa, un antenato del castagno era diffuso in Asia, in Europa e nelle Americhe. La loro è una storia di enorme diffusione, grandi successi, oblio e riscoperte che le rendono un cibo davvero ubiquitario, dalle grandi tavole ai più modesti focolari.

Frutto autunnale per definizione, la castagna è nota fin dai tempi degli antichi greci, quando era per Ippocrate la “noce piatta”, nutriente e lassativa, e per Senofonte la “noce piatta senza fessure” apprezzata dalle popolazioni anatoliche di Ordu e Giresun, in Asia Minore.

In realtà, accompagna tutta la storia umana dell’area del Mediterraneo e la ricetta forse più antica che si conosca, un insolito impasto piccante, dolce e speziato, si trova nel “De re coquinaria” di Apicio. Fu con le grandi vittorie di Roma e la conquista di nuovi territori che la coltura si estese a tutta l’Europa centro-meridionale e i castagneti da frutto si diffusero in Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera e Inghilterra meridionale. Con un boom nel Medioevo, quando con l’incremento demografico del dodicesimo secolo, la domanda di nuovi spazi da mettere a coltura aumentò vertiginosamente, le “selve castanili” si moltiplicarono e molte comunità cominciarono a preoccuparsi di regolamentare, attraverso leggi e statuti, la gestione dei boschi e dei castagneti.

In tempi di carestie, comunicazioni difficili, guerre e povertà diffusa, le castagne erano preziose perché come scrive nella seconda metà del Quattrocento il medico sabaudo Pantaleone da Confienza, la tipica dieta montanara del tempo, costituita prevalentemente da castagne, latte e latticini, era in grado di offrire una nutrizione completa. Quindi, un bene da tutelare: il governo lucchese nel 1483 aveva istituito dei “provisores castanearum” e nel 1489 una magistratura, l’Offizio sopra le Selve. Lo Statuto prevedeva pene per tutti coloro, proprietari e forestieri, che, trasgredendo le disposizioni previste, commettessero atti criminali provocando incendi, tagli e altri danni più o meno gravi.

Le castagne, a questo punto, sono ovunque. Non solo si trovano come frutta di stagione o trasformate nei mercati delle città e anche sulle tavole dei ricchi, ma sono diventate merce di scambio e di pagamento, come il grano, e soprattutto si diffonde l’uso della farina di castagne. Anche se non così redditizia – da tre ettolitri di castagne fresche se ne ricava appena un ettolitro di secche – la preparazione interamente casalinga evitava il pagamento delle esose tasse sul macinato.

A ricordo di quell’epoca restano le tante ricette tradizionali, dolci e salate, diffuse in tutta Italia soprattutto nelle regioni appenniniche. Piatti poveri diventati di recente proposte insolite e raffinate come la zuppa di castagne nei suoi tanti abbinamenti con altri prodotti autunnali, il pane, le tagliatelle e altri tipi di pasta fresca, gli gnocchi, la polenta, il castagnaccio, i necci.
Il momento d’oro dura fino alla metà del ventesimo secolo: le castagne, ormai conosciute in tutta Europa, assumono un ruolo fondamentale nella storia agraria italiana, dove coprono oltre il quaranta per cento della produzione frutticola, diventando una voce costante nelle esportazioni verso altri Stati.

Poi, con gli anni ’60, l’industrializzazione, la fuga verso le città e lo spopolamento delle montagne, il declino della castanicoltura, che ha lasciato ettari di piante inselvatichite nei boschi dell’Appennino, a disposizione di chi vuole raccoglierle per le classiche caldarroste con vin brulè attorno al camino. In mancanza di un camino, e dell’apposita padella bucherellata, funzionano anche il forno e il nuovo jolly della cucina, la friggitrice ad aria.

Con le castagne raccolte nei boschi, semplici, e piccole, si possono preparare anche altri dolci casalinghi come la marmellata, o tentare un risotto; ma ci vuole il top di gamma, i marroni, particolari cultivar di ottima qualità, con frutti adatti alla canditura, per le due ricette, entrambe di origine francese, che dominano l’immaginario quando si tratta di castagne: il laborioso ma appagante Montebianco e i voluttuosi marron glacés di cui Cuneo e Lione rivendicano la ricetta.

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