«Sulla politica internazionale sono ottimista. È vero che c’è un nuovo disordine mondiale, abbiamo assistito a eventi di portata storica, provato dolore enorme per quello che è accaduto, ma c’ motivo per essere ottimisti». Sul palco del Linkiesta Festival al Teatro Franco Parenti di Milano, Matteo Renzi cerca una nota positiva nel quadro internazionale. «Sono certamente incredulo di fronte a chi non si rende conto che quello che hanno fatto i macellai terroristi di Hamas è fuori scala. E si è toccato il fondo. Io sono sotto shock per questo. Però il mondo arabo ha retto, in una sostanziale linea di sostegno alla prospettiva dei “due popoli, due Stati”. Se dovessi immaginare con una sfera di cristallo quello che accadrà quando colpiranno i leader di Hamas a Gaza sarà un accordo verso tra Israele e i Paesi arabi: Israele dovrà concedere alcuni dei territori contesi, Netanyahu si dimetterà e ci sarà un nuovo premier israeliano, ma il mondo arabo, a cominciare dall’Arabia Saudita, a quel punto diventerà parte della soluzione e prenderà le distanze da Hamas e dagli iraniani».
La citazione dell’Arabia Saudita presta il fianco a una battuta sulle consulenze di Renzi per Riyad, e a una risata della platea. Ma il leader di Italia Viva torna su argomenti più concreti: «Il mondo è cambiato dall’ordine nato e sviluppatosi dopo Yalta, e in questo quadro cambiano gli equilibri di forza tra le potenze, pensiamo all’India, un Paese di oltre un miliardo e mezzo di abitanti, che produce tutti i leader delle aziende tecnologiche occidentali e non, e poi le grandi nazioni africane, dal Congo alla Nigeria».
Il leader di Italia Viva arriva sul palco del Teatro Parenti, affiancato dal direttore de Linkiesta Christian Rocca, per un’intervista in cui ha toccato diversi temi, dal Medio Oriente alla politica italiana, passando per l’Europa e l’Ucraina. «La stanchezza percepita sull’Ucraina deriva dal fatto che Zelensky ha fatto un anno e mezzo incredibile, eppure era quello che i giornali avevano raccontato come un Beppe Grillo ucraino», dice Renzi. Poi aggiunge: «Zelensky ha dimostrato di avere ottimi strumenti, come una grandissima capacità di comunicazione, oltre a grandi contenuti. Lo ha fatto con le dirette Instagram, con la comunicazione. Poi però dopo un anno e mezzo, quando i media hanno un’altra guerra su cui concentrarsi, relegano l’Ucraina in un cono d’ombra pieno di contraddizioni. Invece l’Ucraina è un Paese che deve stare dentro l’Unione europea, è un nostro vicino, un Paese che però dobbiamo ricostruire, gli dobbiamo dare gli strumenti per ripartire. E deve stare dentro le istituzioni europee. È qui che si gioca la credibilità europea».
Sull’Ucraina, Renzi non rinuncia a un aneddoto personale, a un momento in cui le tensioni tra Kyjiv e Mosca viaggiavano su altre frequenze rispetto a quelle registrate dopo il 24 febbraio 2022. «A novembre del 2014, dopo Euromaidan, quando ero primo ministro, avevo convocato Obama, i leader francesi e tedeschi, e David Cameron del Regno Unito, per portare al tavolo Putin e Poroshenko e proporre loro l’unica soluzione possibile. La nostra proposta era sul Donbas: volevamo ricreare una condizione giuridica simile a quella dell’Alto Adige. L’idea era che la regione avrebbe avuto un’identità ucraina e una autonomia propria. Un accordo che oggi mi rendo conto sarebbe irricevibile, ma all’epoca il clima era molto diverso. Poi Putin ha fatto quel che ha fatto, passando con i carri armati in Ucraina, passando per sempre dalla parte del torto».
Sulla politica europea, poi, il primo riferimento sono le scommesse perse da parte dei leader della destra. Ad esempio l’esultanza di Matteo Salvini per la vittoria del sovranista Geert Wilders nei Paesi Bassi – «Salvini esulta perché vince nei Paesi Bassi uno che dice non sarò mai dei soldi all’Italia, ci vuole del talento» – oppure gli endorsement di Giorgia Meloni per i vari populismi di destra di tutta Europa: «La sconfitta di Vox e del Partito popolare in Spagna, e quella dei conservatori polacchi, entrambi appoggiati da Meloni, dimostra che queste posizioni non sono proprio vincenti».
Ma, parlando d’Europa, il tema cruciale del presente e dell’immediato futuro, sono le elezioni europee del prossimo giugno. Lì si deciderà l’assetto politico dell’Unione europea. «Si diceva che la maggioranza Ursula sarebbe stata sostituita dalla maggioranza Giorgia, ma questa tesi non sta in piedi», dice Renzi. «L’Europa è la più grande vittoria dello scorso secolo. Un luogo dove la guerra civile era di casa e poi ha conosciuto praterie di entusiasmo e crescita. Ora invece vive un’epoca di declino demografico, difficoltà economiche aggregate, e il peso di uno stato sociale ancora insostenibile. In più, non gioca una partita sulle questioni più attuali come quelle aerospaziali, dove o sei al tavolo o sei nel menu. A me piacerebbe vedere gli Stati Uniti d’Europa, e su questo sarebbe bello confrontarsi da qui alle prossime europee. Ma tornando alle cose più concrete sappiamo che comunque ci sarà ancora una maggioranza Ursula, con ruoli di spicco di popolari e dei socialisti alla Commissione e al Parlamento europeo, e vorrei che alla presidenza del Consiglio Ue ci andasse uno di Renew, io vorrei farlo fare a Mario Draghi». Applauso.
A proposito di Renew. I partiti italiani della famiglia di Renew non vanno più così d’accordo. Ma per Renzi sembra una questione ormai fuori dalla sua portata. Quando Christian Rocca fa notare che al momento Italia Viva secondo i sondaggi è intorno al tre per cento, Azione al quattro, Più Europa intorno al due, Renzi risponde: «Il nostro obiettivo per le europee è superare il quorum. È ancora inspiegabile che le forze di Renew Europe camminino separate, ma quella è una decisione di una delle forze [Azione, ndr] e si rispetta quella decisione».
Sul fronte italiano, invece, l’argomento del momento è la proposta sul premierato: Renzi è storicamente favorevole a una soluzione del tipo “sindaco d’Italia”, mentre quella della destra è leggermente diversa: «Ci sono due proposte sul tema, quella di Casellati e quella presentata da noi. Alla loro bozza non crede neanche Meloni, forse perché l’unico vero punto di forza è che peggiorarla è impossibile, ma cercheremo di parlarne e di migliorarla in Parlamento».
Il tempo sta per scadere, il leader di Italia Viva ha un treno da prendere e gli restano solo pochi minuti a disposizione. Troppo facile la battuta sull’impossibilità di far fermare i treni come Francesco Lollobrigida. «Lollobrigida ha fatto una cosa da dimissioni o spiegazioni, però gli consiglio, siccome ogni volta che apre bocca per spiegare qualcosa peggiora la sua situazione, di non parlarne più. E poi forse questa vicenda è la dimostrazione che i signori al governo sono antifascisti, perché almeno quando c’era lui i treni arrivavano in orario, adesso ci sono questi ritardi». Sipario.