Fronte comuneLa manifestazione in difesa di Israele, Ucraina e Iran libero contro le autocrazie

Domenica 19 novembre alle 15.30 in Piazza Castello a Milano, l’Associazione “Il Ponte Atlantico”, con la collaborazione de Linkiesta, ha organizzato un presidio per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione di tre popoli che lottano per la democrazia

Domenica 19 novembre alle 15.30 in piazza Castello a Milano ci sarà un presidio speciale “In difesa delle democrazie. Con Israele, con l’Ucraina, con l’Iran libero”, organizzato dall’Associazione in via di costituzione “Il Ponte Atlantico” formata da liberali, europeisti e atlantisti. L’obiettivo è «spingere alla costituzione di una forte coalizione democratica che riguardi anche il Pacifico e coinvolgere, aggregandole, le forze politiche milanesi che finora hanno agito in ordine sparso come Italia Viva e +Europa», spiega a Linkiesta Alessandro Litta Modignani, esponente politico milanese, uno dei promotori.

«Si tratta di tre fronti di un’unica battaglia che è la guerra delle democrazie occidentali contro le autocrazie – prosegue –, considerando che dietro Hamas c’è l’Iran, dietro l’Iran c’è Mosca e dietro Mosca c’è Pechino che vuole invadere e sottomettere Taiwan come Putin vuole fare con l’Ucraina». Alla manifestazione, promossa anche da Davide Romano, attivista ed ex assessore della comunità ebraica di Milano, ci saranno anche la Comunità dei russi liberi che protestano contro Putin, esponenti della comunità ebraica milanese e tante bandiere di Israele, dell’Ucraina e dell’Iran storico (non la Repubblica islamica). E Linkiesta, che è media partner dell’evento.

«Uno dei motivi per cui saremo in piazza è richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica perché questa guerra non deve assolutamente essere trascurata, sarebbe un errore enorme. È un rischio connesso alle esigenze di comunicazione che sono più focalizzati sul conflitto israelo-palestinese ma ci apprestiamo a passare un altro inverno in cui la Russia farà di tutto per bombardare le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, costringendo il suo popolo a stare al freddo e al buio, questa è una cosa rispetto al quale l’Occidente deve assolutamente reagire, fornendo mezzi difensivi e la copertura aerea affinché possa difendersi e vincere la guerra». 

Ora che anche la rivoluzione iraniana ha perso l’attenzione del pubblico, quanto è importante continuare a parlarne?
«Bisogna ricordare che il premio Nobel per la Pace è iraniano ed è in carcere e che a Teheran una ragazzina di sedici anni è stata presa a bastonate perché non copriva i capelli, quindi la situazione è peggiorata. Nel 2021, in Iran, ci sono state trecentotrentatré esecuzioni, l’anno scorso cinquecentoottantadue, sono quasi raddoppiate anche in conseguenza della rivolta di “Donna, vita, libertà”. Per “premiare” questo incremento di produzione l’ONU di Antonio Guterres ha pensato bene di nominare il Paese alla Presidenza del Forum per i diritti umani quindi è evidente che l’opinione pubblica sia distolta dall’attenzione sulle atrocità che commette il regime degli ayatollah. È uno scandalo internazionale di cui tutta l’opinione pubblica dovrebbe essere informata, contro cui tutto il mondo dovrebbe sollevarsi». 

Israele viene anche condannato dall’opinione pubblica occidentale per quello che è successo dopo il pogrom del 7 ottobre, che scelta aveva lo Stato ebraico dopo quell’evento?
«Poteva fare soltanto una cosa, entrare in guerra con Hamas per disarmarlo che è un obiettivo politico e militare imprescindibile. La scelta di Israele è stata fatta con la consapevolezza che avrebbe comportato la morte di molti soldati israeliani e anche tante vittime civili nella popolazione di Gaza e che avrebbe messo a serio rischio la vita degli ostaggi. Sono un prezzo orribile che lo Stato ebraico può trovarsi costretto a dover pagare ma se Hamas non sarà disarmato ci saranno altri attacchi e altri morti. L’unico obiettivo possibile era quello di cancellare il controllo del gruppo terroristico dalla striscia di Gaza. Facendo questo Israele perde il consenso dell’opinione pubblica occidentale e questo è il calcolo di Hamas che sacrifica la vita dei suoi cittadini a suo vantaggio. L’unica cosa che noi possiamo fare è cercare di difendere le ragioni di Israele che dopo il 7 ottobre non aveva altra scelta, cercando naturalmente di risparmiare le vittime civili per quanto possibile».

Qual è il primo risultato che vi aspettate di ottenere?
«Viviamo un momento storico di guerra. Non possiamo parlare in astratto di soluzioni politiche senza tenere questo ben presente. La prima cosa da fare è vincere la guerra. Il primo obiettivo immediato è quello del completo disarmo di Hamas. In prospettiva bisognerà cercare di destabilizzare e rovesciare il regime degli ayatollah e cercare di sconfiggere in campo la Russia di Putin. Sono le uniche soluzioni. A quel punto sono sicuro che anche la Cina, che è una grande potenza economica e militare con mire imperiali, ma che è un Paese pragmatico, comincerà a riflettere e rifare i propri conti». 

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