Mosche biancheLe strategie di Danimarca e Corea del Sud per la sostenibilità alimentare

I piani d’azione dei due Paesi servono ad accompagnare le industrie nazionali in un processo di transizione delicata, ma necessario per ragioni etiche e ambientali. Lo scopo non è demonizzare la carne, bensì tendere verso una dieta flexitariana

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Per la prima volta, uno Stato europeo ha inserito nella sua strategia nazionale per l’ambiente un piano d’azione finalizzato alla transizione verso un’alimentazione sostenibile – a base di verdure e legumi – allo scopo di ridurre le emissioni di gas serra. Parliamo della Danimarca, il cui documento è apparso in linea con l’Accordo sulla transizione verde dell’agricoltura danese risalente al 2021. 

Secondo il ministro dell’Alimentazione, Jacob Jensen, «una dieta più ricca di vegetali, in linea con le linee guida ufficiali, aiuta a ridurre l’impronta climatica. Abbiamo bisogno dunque di un piano d’azione che mostri come possiamo sostenere l’intera catena del valore degli alimenti vegetali e contribuire così alla necessaria transizione». 

All’interno del piano sono elencate una serie di iniziative finalizzate all’attuazione di una trasformazione verde su tutta la filiera, comprendendo quindi il processo che va dal coltivatore al consumatore. Lo scopo dell’iniziativa è anche quello di ispirare il resto del mondo, promuovendo modifiche interne ma favorendo anche l’esportazione della produzione vegetale danese. Una parte del documento è dedicata anche alle mense scolastiche e, in generale, del settore pubblico, importante per abituare la società a una dieta differente. 

Lo scopo del governo è quello di creare aree di crescita futura con nuove opportunità di guadagno e di lavoro in linea con il rispetto dell’ambiente, del clima, della salute e dei diritti dei lavoratori, evitando di ripetere errori come quelli commessi in passato. Per questo, la Danimarca mira a diventare uno Stato innovatore nella produzione di cibo plant-based e di carne sintetica, incentivando attività di ricerca e sviluppo. Come incentivo, il documento fornisce anche una panoramica di iniziative concrete per l’attuazione della transizione come fondi e sussidi, consulenze per startup, corsi di formazione degli chef nelle cucine pubbliche e private, una maggiore attenzione alle diete a base vegetale nelle scuole, proposte per aumentare le esportazioni di alimenti a base vegetale danesi e investimenti nella ricerca. 

Un piano simile è possibile oggi in Danimarca, dove le vendite di cibi vegetali alternativi alla carne sono aumentate di dieci volte dal 2010 e le vendite di bevande a base vegetale sono quadruplicate e quelle di legumi quasi raddoppiate. Come spiega il documento stesso «la Danimarca ha un clima adatto e solidi prerequisiti tecnici, economici e sociali per la produzione agricola, nonché una lunga e radicata tradizione di adattamento alle condizioni mutevoli». Ai già raggiunti traguardi andava quindi data la spinta giusta per il passo successivo. Per gli altri Paesi, invece, questo cambiamento è ancora lontano per diverse ragioni.

Fuori dalla Danimarca
Sappiamo che sul podio dei maggiori consumatori di carne ci sono in ordine dal primo al terzo Hong Kong, Stati Uniti e Australia, mentre agli ultimi posti si trovano Paesi meno sviluppati come India, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo e Burundi. A influenzare i dati ci sono le condizioni sociali in cui riversano gli Stati sopracitati, che comprendono una buona porzione di Oriente e Africa, e le loro abitudini culturali.

È il caso dell’India che, secondo il sondaggio Statista consumer insight, ha la percentuale più alta di vegetariani rispetto ad altri Paesi selezionati nel 2023: un dato influenzato senza dubbio da motivi religiosi. In Bangladesh, invece, il consumo di carne è ridotto perché da un lato la cucina locale include piatti prevalentemente a base di riso, pesce e legumi, mentre il consumo di carne prevede pollo, montone e manzo ma non la carne di maiale, poiché il Paese è prevalentemente musulmano. Bisogna inoltre considerare che lo stato di povertà incide anche sul consumo di carne: i prezzi elevati la rendono un bene di lusso.

Dunque a dover agire attivamente per un cambiamento del piano alimentare – o quantomeno una riduzione del consumo di carne – sono in prevalenza i Paesi occidentali. In Italia, ad esempio, le alternative vegetali stanno conquistando sempre più spazio nelle tavole dei consumatori come conseguenza di una maggiore attenzione alla questione etica ma soprattutto alla sostenibilità ambientale. Ciò vuol dire che l’informazione può essere utile e avere modelli da seguire, come quello danese, può essere importante e incidere nel cambiamento.

Segue la Corea del Sud
La Corea del Sud è il primo Paese a seguire l’esempio della Danimarca, annunciando una strategia per sostenere l’industria alimentare a base vegetale e promuovere alternative alle tradizionali proteine animali.

Il governo sudcoreano stima che il mercato globale degli alimenti a base vegetale raggiungerà quota trentacinquemila miliardi di won entro il prossimo decennio. Il piano dell’esecutivo prevede anche l’inaugurazione di un centro di ricerca dedicato alle proteine alternative, iniziative per incoraggiare l’uso di prodotti agricoli nazionali negli alimenti a base vegetale e il sostegno all’esportazione dei prodotti alternativi.

Da un lato l’iniziativa riflette una crescente tendenza globale verso gli alimenti a base vegetale, ma in particolar modo il riconoscimento della necessità di un sistema alimentare più sostenibile. Dall’altro potrebbe essere interpretata come un tentativo di cavalcare l’onda per accaparrarsi il primato nell’esportazione, ma questa volta la lotta al mercato potrebbe non essere un male. 

Qualsiasi sia il movente, il risultato dovrebbe essere vantaggioso per tutti e azioni concrete come quelle definite dalla Danimarca e dalla Corea del Sud potrebbero dare il via a un movimento più grande. Lo scopo non è necessariamente quello di raggiungere un’alimentazione vegetale al centro per cento, un passo che può sembrare radicale a chi è abituato a una dieta onnivora, ma dovrebbe incentivare a ridurre il consumo di carne e quindi tendere verso una dieta flexitariana. Quest’ultima non è totalmente vegana ma riduce il consumo di proteine animali a favore di quelle vegetali.