Piano Mattei per l’Africa, sotto il titolo niente. Basterebbe parafrasare un noto film degli anni Ottanta per riassumere il nulla cosmico che caratterizza un piano sbandierato ai quattro venti come rivoluzionario, risolutivo dei problemi che inducono decine di migliaia di persone a lasciare il continente e avventurarsi in migrazioni gestite da mafie transnazionali, «utile a tutta l’Unione Europea» e che a un anno esatto dell’annuncio (durante il discorso di insediamento del governo) giace nella vaghezza più assoluta.
La mazzata finale è arrivata qualche giorno fa. In una scarna nota della Farnesina rilasciata il 12 ottobre, si rendeva noto che il vertice Italia-Africa, la seconda gamba del Piano, era stato annullato. Quel summit avrebbe dato forma e operatività al progetto, previsto per il 5 e il 6 novembre prossimi e pompato mediaticamente da gennaio. L’annuncio unisce sorpresa a una certa approssimazione: nelle tre righe si fa riferimento al «peggioramento del contesto internazionale» e a un rinvio a inizio anno. La nostra diplomazia, quindi, a quanto risulta, ha sostanzialmente lavorato a stretto contatto con quelle africane immaginando temi, tavole rotonde, inviti di leader e redazioni di documenti e accordi ufficiali per un anno intero, per poi annullarli con il più breve degli short notice (tre settimane).
La versione ufficiale, come già scritto, fa risalire il posticipo al caos mediorientale. Quella ufficiosa, ovviamente, riporta tutto al fatto che di quel Piano non vi è mai stata traccia reale. E si è colta la drammatica circostanza della guerra scatenata dagli attacchi di Hamas e proseguita con la reazione israeliana, per evitare la figuraccia. Non sarà certo sfuggito agli analisti che in occasione del sessantunesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, il 27 ottobre, Giorgia Meloni abbia scelto di parlare su X di «formula Mattei» come via «profondamente attuale e ispirazione dell’azione del Governo italiano». Del Piano, non c’è più neanche traccia dialettica.
Ma l’assenza di un progetto concreto e reale di rapporti con i Paesi africani che contribuisca, come annunciato dalla premier a luglio durante la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazione ad «avviare un percorso condiviso in grado di attuare misure concrete per la crescita e lo sviluppo del Mediterraneo allargato e l’Africa, per affrontare le cause profonde dei flussi irregolari e per sconfiggere l’attività criminale dei trafficanti di esseri umani» non è l’unico problema. In quel summit estivo che si concludeva con il varo del cosiddetto «processo di Roma», l’attuazione definitiva, cioè, del piano Mattei si mettevano le basi di una strategia che ha segnato un fallimento su molti fronti. Si immaginava la erezioni di hotspot da affidare a paesi africani di transito per gestire un primo filtro dei flussi migratori e si è finito per varare misure per la moltiplicazione di hotspot con detenzione allungate fino a diciotto mesi in Italia facendo del nostro Paese, come sottolinea l’HuffPost, proprio quell’enorme hotspot a cielo aperto che l’esecutivo
dichiarava di voler scongiurare. Se si prende poi l’accordo siglato da Meloni e von der Leyen a Tunisi con l’autarca Saied non più di qualche mese fa, si potrà notare quanto la mossa, oltre che totalmente irrispettosa dei diritti degli individui (sono centinaia i migranti morti nel deserto tra Tunisia e Libia cacciati dall’uno o dall’altro Paese nordafricano con i quali Italia e Ue hanno siglato patti di contenimento in cambio di denaro, ndr), si sia rivelata un clamoroso fallimento: il Presidente tunisino, ha sdegnosamente rispedito al mittente i sessanta milioni della prima tranche stanziata (in tutto erano previsti novecento milioni) definendoli «atto di elemosina».
Ma c’è un altro, gravissimo problema che il sito Info Cooperazione (Ic) fa emergere. A denunciarlo è Guglielmo Picchi, esponente della coalizione di governo e fondatore e dirigente del Centro studi politici e strategici Machiavelli, già deputato e sottosegretario agli Esteri nonché candidato alla direzione dell’Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo (Aics). Proprio riferendosi all’attuazione del Piano Mattei e alla rete diplomatica italiana in Africa, in prima linea nella presunta implementazione, Picchi denuncia un quadro a dir poco deprimente.
E a suggello di ciò pubblica un elenco impietoso sulla dotazione di personale delle sedi diplomatiche italiane nel continente, con una ridottissima presenza numerica di diplomatici di carriera, una costante assenza di vice-Capo Missione e ridotto personale amministrativo: come si pensava, quindi, di dare vita a un progetto epocale di rivoluzione e guerra al sottosviluppo se non si disponeva di generali, neanche di soldati semplici per attuarla?
Ed è qui che si insinua l’ultimo dubbio, fatto emergere sempre da Info Cooperazione così come da sempre più numerosi analisti. Ma non è che il Piano Mattei di Mattei ha solo il richiamo all’ente da lui presieduto? Non è che siamo di fronte a un potenziamento (fin qui peraltro in parte fallito), di quella che è considerata da decenni la nostra rete diplomatica parallela in Africa, quella cioè agita dall’Eni? «Vista l’aspettativa creata dal teaser di questi ultimi mesi – spiega Ic – su vari fronti sarebbe una delusione se il Piano Mattei per l’Africa fosse poco più di un Piano Eni per l’Africa».