A due mesi dall’inizio delle negoziazioni, ieri mattina il Partito socialista spagnolo (Psoe) ha annunciato di essere arrivato a un accordo con Junts, il partito indipendentista catalano guidato dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, un passo decisivo verso la formazione di un nuovo governo. Il testo dell’accordo prevede che Junts sostenga l’investitura del primo ministro uscente e leader dei socialisti Pedro Sanchez, in cambio di una proposta di legge di amnistia che, se approvata dal parlamento spagnolo, metterà fine ai processi in atto e annullerà le condanne già emesse nei confronti di politici e attivisti indipendentisti tra il 2012 e il 2023. L’accordo conferma la volontà dei due partiti di negoziare nel corso della legislatura un possibile referendum di autodeterminazione della Catalogna.
Nelle ultime settimane, il Partito socialista era riuscito ottenere il sostegno non solo della formazione di sinistra Sumar e di due piccoli partiti regionali (Bildu e Bng), ma anche quello dell’altra principale formazione indipendentista catalana, Esquerra Republicana (Erc), in cambio di importanti concessioni: il trasferimento della gestione delle ferrovie locali alla Generalitat catalana e il condono del venti per cento del debito della Catalogna verso lo Stato centrale (circa quindici miliardi di euro).
La firma del patto con Junts rappresenta l’ultimo tassello di una negoziazione lunga e complessa per arrivare a una proposta di legge di amnistia solida, che nessun giudice spagnolo contrario all’indipendentismo catalano possa trovare rifiutarsi di applicare. Una preoccupazione fondata, dato che negli ultimi giorni alcuni settori della giustizia spagnola hanno già iniziato a muoversi per ostacolarne l’approvazione: il Consiglio Generale del Potere Giudiziario, guidato da una maggioranza conservatrice, si è espresso a sfavore della legge di amnistia, mentre il giudice istruttore Manuel García-Castellón, ha aperto un’indagine contro Puigdemont nell’ambito dell’inchiesta su Tsunami Democratic, la piattaforma politica accusata di aver organizzato atti di terrorismo nel 2019 in seguito alla conclusione del processo ai politici e attivisti coinvolti nell’organizzazione del referendum indipendentista del 2017.
Al coro delle voci preoccupate per la legge di amnistia si è unito anche il Commissario europeo alla giustizia Didier Reynders, che mercoledì ha scritto una lettera per chiedere al governo spagnolo di condividere i dettagli della proposta. In risposta, un portavoce di Sanchez ha dichiarato che la legge di amnistia «non è ancora una questione di governo», dato che non è stata ancora presentata al parlamento spagnolo. Ieri la Commissione Europea ha infine precisato che quella catalana resta «una questione interna alla Spagna che dev’essere affrontata nel rispetto della Costituzione».
Alle pressioni giudiziarie e politiche, da domenica scorsa si sono aggiunte quelle causate dalle numerose manifestazioni organizzate in varie città spagnole dai cittadini contrari alla legge di amnistia e amplificate sui social network dai dirigenti dei partiti di estrema destra Vox, La Falange e Democracia Nacional, nonché dall’associazione della “gioventù patriottica” Revuelta e da alcuni influencer e giornalisti ostili al governo Sanchez. La più violenta risale a martedì scorso, quando circa settemila persone sono scese in strada e si sono dirette alla sede del Psoe a Madrid: gli scontri tra i manifestanti e la polizia hanno causato quaranta feriti e l’arresto di sette manifestanti.
Secondo fonti parlamentari, la presidente del Congresso dei Deputati Francina Armengol annuncerà lunedì le date del dibattito per l’investitura di Sanchez, che si terrà molto probabilmente mercoledì e giovedì della prossima settimana. Di fatto, al momento al Psoe manca ancora il sostegno del partito nazionalista basco Pnv, ma secondo fonti socialiste le negoziazioni con i suoi esponenti sarebbero già a buon punto e, in ogni caso, molto meno complesse rispetto a quelle degli ultimi mesi con Junts.
Anche se è ormai molto improbabile, se il tentativo di investitura del premier uscente non andasse a buon fine, il re Felipe VI potrà scegliere un altro candidato, che avrà tempo fino al 27 novembre per ottenere la fiducia del Parlamento. In caso contrario, la Spagna tornerà al voto il prossimo 14 gennaio.