L’Ue come casaVictoria Amelina è la donna europea dell’anno de Linkiesta

Il nostro riconoscimento per il 2023 va a Vika, la scrittrice ucraina che è stata uccisa a trentasette anni da un missile russo. Una martire europea, di un’Europa inventata daccapo dagli ucraini, che l’hanno costretta a (r)esistere. Tanto da dubitare che fosse già lì prima del 24 febbraio 2022

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Di sé diceva: «Sono nata nell’Ucraina occidentale nel 1986, l’anno in cui è esploso il reattore nucleare di Chornobyl’ e l’Unione Sovietica ha iniziato a sgretolarsi». Trentasette anni dopo Victoria Amelina è stata uccisa da un missile balistico russo. È una martire europea. Di un’Europa che era diventata casa, come raccontava al figlio, e non era più la «tragedia» mitteleuropea di cui si rammaricava Milan Kundera in esilio. Di un’Europa inventata daccapo dagli ucraini, che l’hanno costretta a (r)esistere, tanto da dubitare che fosse già lì prima del 24 febbraio 2022.

«Noi, cittadini dell’Europa centrale», scrive Vika in un racconto che abbiamo pubblicato nell’ultimo volume di K, la rivista letteraria de Linkiesta, «siamo pronti a combattere per l’Europa, anche se a volte il nostro amore non è corrisposto». Ecco, è ora di contraccambiare. Anche se ci troviamo sempre a rimediare a tempo scaduto, quando già dobbiamo piangere questa generazione di intellettuali, fattisi fixer e sacrificati nel compito che si sono scelti, quello della verità a ogni costo.

C’era anche Amelina, il 13 settembre, all’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen. C’era anche se era già morta due mesi prima in ospedale a Dnipro, perché lo scrittore colombiano che era con lei in quella pizzeria – una pizzeria, non la linea del fronte – di Kramatorsk, Héctor Abad, ha portato in aula il suo ritratto. La plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo, ha applaudito commossa. Standing ovation.

«Vittima di un crimine di guerra russo, uno degli innumerevoli attacchi sferrati contro civili innocenti», l’encomio della presidente della Commissione europea. «Manterremo in vita il ricordo di Victoria e di tutte le altre vittime». Ma non è e non deve essere postumo, in memoriam, il premio che tributiamo a Vika, la Donna europea dell’anno de Linkiesta. Va declinato al futuro, come i suoi testi, che ci restano. Come Kyjiv che dovrebbe essere accolta quanto prima e a pieno titolo nell’Unione.

Alcuni suoi versi recitano: «Non scrivo poesia / Scrivo prosa / Ma la realtà della guerra / si mangia la punteggiatura» (da Poeti d’Ucraina, Mondadori 2022). Altri insegnano che una casa si può custodire in tasca, sia una perla, un nocciolo di pesca, o un sasso. «Tirala fuori / in un posto sicuro / quando sei pronto / La casa crescerà piano piano / E tu mai, / ricordatelo, mai / sarai senza la tua casa» (ibidem). Gli ucraini una casa ce l’hanno già e si chiama Europa, quella che ogni campagna elettorale si rimangia nel benaltrismo di un nuovo «Prima gli…». Inserire una nazionalità a piacimento.

Ora l’unico sensato è: Prima gli ucraini. Amelina riposa accanto al cimitero militare di Leopoli, un posto «tanto triste quanto pieno di vita», ha scritto un’amica preziosa di Vika, Yaryna Grusha, che le ha portato un mazzo di fiori acquistato con ApplePay. L’Ucraina è (anche) questo: un Paese più giovane del suo continente, vecchio e burocratico, dove una app sola non basta mai, nell’elefantiasi dei servizi pubblici “digitalizzati”. Meglio, no?

Non è giovanilismo dire che lì il futuro è cominciato prima. Una classe dirigente di trentenni e quarantenni, promossi sul campo, e spesso il campo è quello di battaglia. Magari l’Ucraina è uno spoiler del nostro futuro. E, a differenza che in un film, possiamo contribuire alla sceneggiatura. C’è una scena notissima di Servitore del popolo, la serie tv che appartiene alla vita precedente di Volodymyr Zelensky a cui il leader ucraino deve la sua vita successiva. Al presidente squilla il telefono. È Angela Merkel. Finalmente è andata: siete dentro l’Ue. Peccato che la cancelliera abbia sbagliato numero.

C’è anche un vecchio motteggio, attribuito a Henry Kissinger, che forse è apocrifo ma dà la stessa idea: quale numero telefonico va composto per parlare con l’Europa? Suggerirei di cominciare con il prefisso +380. La generazione di Amelina non è perduta. Si è scelta per casa l’Unione europea come si era scelta Maydan per piazza nel 2014. Euromaidan, remember?

Ignoro il mito di Europa, credo abbia a che fare con una fanciulla – una principessa? – sulla groppa di un toro. O qualcosa del genere. Svecchiamo l’immagine: è sempre una giovane donna, con i capelli color del grano che spuntano sotto l’elmetto e un giubbotto antiproiettile su cui si legge «femminista» in cirillico. Che disseppellisce il diario dello scrittore Volodymyr Vakulenko, ammazzato a Izyum. È un’Europa che assomiglia a migliaia di ucraini e di ucraine, che assomiglia tanto a Victoria Amelina.

Lei descriveva come un’epifania il viaggio premio a Mosca, da adolescente. Al concorso di lingua «ho incontrato ragazzi provenienti da tutti quei Paesi che la Russia avrebbe poi cercato di invadere o assimilare: Lettonia, Lituania, Estonia, Kazakistan, Armenia, Azerbaigian, Georgia e Moldavia». Un’intervista, le domande mistificatorie della tv di Stato per manipolare le risposte perché assecondino la propaganda, discriminazioni inesistenti. Vika non ci casca.

Gliela giura. A posteriori: «Spero di essermi rivelata uno dei peggiori investimenti che la Federazione Russa abbia mai fatto». L’Ucraina, invece, è il miglior investimento che l’Europa possa fare.

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 17 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia

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