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Nell’anno del lungo, lunghissimo addio del mondo ad Angela Merkel, Linkiesta non ha voluto fare una scelta prevedibile. Per il premio Donna europea del 2021 il nostro giornale ha quindi scelto una politica che sta raccogliendo i frutti della sua caparbia battaglia contro lo strapotere delle Big Tech. La cinquantatrenne economista, cresciuta a Ølgod, un piccolo borgo nella campagna occidentale danese, ha imparato in fretta a rompere il soffitto di cristallo. Membro della Sinistra Radicale (che, a dispetto del nome, è un partito liberal-socialista), è diventata ministro dell’Istruzione a trenta anni, leader del suo partito a trentanove, ministro dell’Economia e vice-presidente del governo a quarantatré. A quarantasei anni è stata nominata commissaria Ue alla Concorrenza, un ruolo che ricopre ininterrottamente dal 2014 con il rigore proprio di una figlia di pastori luterani.
Cambiano i presidenti, si succedono le legislature, e lei è sempre lì nel palazzo Berlaymont a Bruxelles a ribadire un concetto preciso: il mercato unico europeo non deve avere monopoli od oligopoli che danneggino i consumatori e la libera concorrenza.
Dopo sette anni le sue multe miliardarie ad Apple, Alphabet, Amazon e Facebook (pardon, Meta), si sono trasformate nell’abusata metafora di Don Chisciotte e i mulini a vento. Colpi a vuoto, respinti da corsi, ricorsi e annacquamenti giudiziari. I suoi critici l’hanno accusata di frenare l’innovazione, di cercare la fama a danno delle Big Tech, di essere troppo ambiziosa (come se questa non fosse la qualità basilare di un politico), di scegliere battaglie impossibili da vincere.
Poi però il 10 novembre del 2021 l’anonimo anno di Vestager ha cambiato verso: la Corte di giustizia dell’Unione europea ha respinto il ricorso di Alphabet, che ora dovrà pagare la multa di 2,4 miliardi di euro imposta nel 2017 da Vestager.
Secondo il tribunale Ue, la holding che controlla Google ha abusato dei suoi servizi di Shopping, senza dare sufficiente visibilità agli altri motori di ricerca usati dai cittadini per comparare i prezzi.
Non è soltanto una sentenza, è la vittoria di una linea politica: da grandi poteri, derivano grandi responsabilità. Non vale solo per gli eroi dei fumetti, ma anche per le multinazionali che hanno colonizzato Internet. E le Big Tech non possono continuare a essere una eccezione.
Non si vive di sole multe. Pochi giorni dopo, il 25 novembre, i ministri responsabili del settore digitale dei 27 Stati membri hanno approvato l’orientamento generale del Digital Markets Act, il regolamento proposto da Vestager nel dicembre 2020 per regolamentare le Big Tech.
Un pacchetto di norme antitrust che impediscano abusi di posizione, monopoli e pratiche sleali nel mercato unico europeo da parte delle grandi piattaforme online.
La sua proposta legislativa è stata approvata a stragrande maggioranza anche dalla Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento europeo, rendendo una pura formalità il voto degli eurodeputati in aula a dicembre.
Secondo la redazione de Linkiesta, Vestager, merita quest’anno il premio anche perché nel momento più difficile non è rimasta prigioniera del suo dogma: il rispetto assoluto del principio di concorrenza. Durante la pandemia ha prorogato più volte la sospensione della norma Ue che impedisce gli aiuti di Stato alle imprese, permettendo al sistema industriale europeo di essere sostenuto dai vari Stati membri. In tempo di pace la norma contro gli aiuti di Stato serve per evitare che i Paesi Ue più ricchi aiutino le loro aziende a discapito dei più poveri.
Ma in tempo di pandemia sarebbe stata un acceleratore verso il fallimento di molte realtà. Anche per questo motivo Vestager ha proposto di voler rivedere la legge europea per renderla più adatta alla transizione ecologica e all’autonomia strategica in alcuni settori, come in quello dei semiconduttori. Perché, quando cambiano i fatti, bisogna avere il coraggio di cambiare le proprie opinioni.
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