Il periodo natalizio in politica propizia naturalmente devozioni ruffiane ed esibizionistiche, di cui è sempre difficile stabilire se sia più volgare la malafede farisaica o l’improntitudine narcisistica. Ci sono pochi dubbi che ad aggiudicarsi per quest’anno la palma del bigottismo kitsch sia stata la proposta di legge della senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni, tempestivamente annunciata dopo l’Immacolata, orgogliosamente titolata al «rispetto e tutela delle tradizioni religiose italiane» e volta a promuovere nelle scuole «le tradizionali celebrazioni legate alle festività del Natale e della Pasqua cristiana». È una piccola e misera cosa, ma è rappresentativa di quella grottesca degradazione del Dio universale cristiano a occhiuto portinaio del “padroni a casa nostra” e della tradizione cattolica a campanilismo territoriale.
Ben più grande e peggiore cosa – sempre sulla stessa linea – è stata la decisione della sindaca di Monfalcone Anna Maria Cisint di chiudere i centri culturali islamici privi dell’idonea destinazione d’uso come luoghi di culto, secondo la prassi, ampiamente diffusa nel nord leghista e sostanzialmente contrastata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, dell’utilizzo delle norme urbanistiche per limitare la libertà religiosa dei fedeli di quelli che, con espressione dagli echi sinistri, continuano a definirsi “culti ammessi”, in base a una legge del 1929 di inconfondibile impronta fascista.
Sembra che oggi il cattolicesimo politico pseudo-tradizionalista si ricolleghi alla Chiesa del Sillabo, più che a quella conciliare, nella denuncia della libertà religiosa (di ascendenza protestante) come crisma sacrilego del liberalismo moderno, che «conduce a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli».
Ma dove nella Chiesa di Pio IX la tradizione religiosa era il fragile argine opposto a un processo politico, che aveva portato verso lo stato nazionale italiano e di lì a breve avrebbe decretato la fine del potere temporale del papato, nel cattolicesimo anti-modernista del terzo millennio il tradizionalismo è essenzialmente l’orpello clericale di una politica nazionalista. Politica che, uscendo dal separatismo post-unitario, la stessa Chiesa decise di legittimare nel collateralismo concordatario con il regime fascista.
Sia chiaro: le scelte politiche dei cattolici italiani teleguidate direttamente dalla Santa Sede non assorbono ed esauriscono affatto la storia del cattolicesimo politico italiano, che, al contrario, nel secondo dopoguerra ha conquistato una propria autorità e autonomia proprio in opposizione al programma clerico-fascista e in nome di un’ideale di laicità mal digerito oltre Tevere. Un’ideale che è entrato in crisi proprio con l’inizio della stagione dei diritti civili, ma è stato paradossalmente rinnegato con la fine del partito unico dei cattolici, cioè con l’inizio della Seconda Repubblica, quando l’armamentario ideologico clericale è stato posto al servizio, esattamente come aveva fatto Mussolini, di un progetto politico etno-nazionalista, interpretato per lo più da personaggi (da Berlusconi a Bossi, fino a Salvini e Meloni) che non avevano alcuna vera cultura e formazione cattolica e venivano tutti da partiti, in un modo o nell’altro, anti-democristiani.
Lo scambio che la Chiesa ruiniana offrì loro – il sostegno all’oltranzismo bioetico in cambio di un negligente favore all’oltranzismo nazionalista – ha funzionato per oltre un ventennio, ma è evidentemente sempre più estranea all’agenda della Chiesa terzomondiale di Francesco, che infatti nelle rappresentazioni della destra religiosa fascio-leghista è diventato una sorta di anti-Papa e l’ispiratore della cosiddetta sostituzione etnica. Quello della destra italiana ed europea è dunque ormai un clericalismo non solo senza fede, ma pure senza Chiesa.
La riesumazione, chissà quanto involontaria, del cuius regio eius religio e la recitazione di un moralismo sessuale morboso e vouyeristico, come sigilli dell’alleanza tra la religione e la nazione, dà la misura della distanza siderale che separa la realtà della vita del miliardo e quattrocento milioni di cattolici che vivono sulla faccia della Terra dagli interessi di bottega di quei cattolici italiani che parlano del loro povero Dio come di un prodotto tipico da difendere, alla stregua del peperone di Carmagnola o del bue grasso di Carrù, magari in manifestazioni congiunte con la Coldiretti di Prandini, un cattolico docg che, se c’è da usare le mani in difesa della tradizione, ha dimostrato di saperci fare.