Il mondo libero e democratico che assiste alla propria stanchezza e vi si abitua mentre l’Ucraina affronta un altro inverno di guerra – forse l’ultimo, forse preludio di un assestamento che comprometterà l’integrità di quel Paese aggredito – deve rimproverarsi di aver ceduto troppo alle titubanze, quando non al vero e proprio boicottaggio, dei troppi che nel seno confortevole delle proprie società impigrite credevano che fosse per loro indolore e senza conseguenze lasciare che l’operazione speciale avesse corso incontrastato.
Ragioni pratiche ed egoistiche, non solo democratiche e umanitarie, non solo di giustizia internazionale, avrebbero dovuto suggerire non solo al pacifismo collaborazionista, ma anche alla tiepida miopia dei più, che i programmi di annientamento dell’Ucraina costituivano una versione solo aggiornata, e assai debolmente arginata dai settant’anni di pace, dei movimenti primonovecenteschi che pezzo per pezzo distruggevano la vita libera e il destino dell’Europa delle complicità e delle inerzie.
Addirittura il contorno verbale di quell’iniziativa usurpatrice, addirittura le retoriche finalistico-pacificatrici cui faceva ricorso l’aggressore, erano identiche: e ancora identico era il nucleo di opposizione fattiva a quei propositi di sopraffazione, il nocciolo anglosassone, mentre l’Europa, pregna della propria inemendabile e ottusa irresolutezza, garantiva agli aggrediti un aiuto puntualmente indebolito e confuso dalle voci recalcitranti.
Nessun leader europeo, dopo Mario Draghi e salva qualche intermittente resipiscenza tedesca, ha mostrato di ripudiare come sarebbe stato necessario la diffusa istanza demagogica che metteva sul piatto contrapposto della bilancia le bollette rincarate, l’escalation, l’allargamento del conflitto, insomma le conseguenze che gli europei avrebbero amaramente pagato restando subordinati alle sbrigliatezze guerrafondaie degli Stati Uniti. Gli europei insensatamente aggrappati al potere dilagante e provocatorio della Nato, incapaci di capire che i torti e le ragioni stanno sia da una parte sia dall’altra e che, in ogni caso, un conto era rifornire gli ucraini di democratici giubbotti antiproiettile, e un altro conto era dargli armi che temibilmente avrebbero potuto irritare i russi.
Dopo un anno e mezzo qualche buontempone, ottimamente accreditato all’accademia del Porcaio Unico Televisivo, viene a spiegare che le difficoltà ucraine sul campo di guerra non sono la prova che bisognava dare più armi agli aggrediti, ma che non bisognava proprio dargliene. La prova che l’Europa sarebbe stata tanto migliore, così più sé stessa, se quelli che oggi più aiutano l’Ucraina non avessero imperdonabilmente deciso di scendere dalla Normandia e di risalire l’Italia per impiantare il loro sporco dominio.