Nightmare before Christmas A Natale siamo tutti più buoni, tranne certi piatti

Le ricette meno riuscite e i cibi meno amati delle nostre feste passate a volte tornano a tormentarci. Ve li raccontiamo, sperando così di esorcizzarli e di passare giornate natalizie felici e totalmente prive delle loro tracce

Foto di Christin Noelle su Unsplash

Durante i Natali passati abbiamo mangiato cibi e pietanze il ricordo dei quali ancora ci tormenta, a volte a distanza di anni. Accettiamo di buon grado inviti per pranzi e cene, oppure che gli ospiti più volenterosi contribuiscano alle nostre tavolate portando qualcosa preparato da loro, serbando dentro di noi un’unica speranza: che sulla tavola addobbata con nastri rossi, candele dorate e pungitopo non si materializzino un’altra volta i nostri peggiori incubi gastronomici. Siete curiosi di conoscerli?

L’incubo di Alessio Cannata: la strenna di Natale panettone e bottiglia
A meno che voi vogliate fare un torto travestito da dono delle feste, non c’è scusa per acquistare ancora quei fustini che sembrano detersivo in polvere per lavatrice, ma che invece custodiscono un panettone (o pandoro) scarsissimo, ma mai lontanamente pessimo quanto la bottiglia di spumante che gli sta di fianco.

La strenna andava bene negli anni in cui la quantità contava più della qualità, non ora! Che la quantità conta più della qualità, ma facciamo finta che ci piaccia il contrario.

Se il prezzo conveniente del bidone panettone e bottiglia dovesse mai farvi gola, ricordate che i canditi potrebbero essere fluorescenti e la bottiglia allegata sembrerà un bibitone digestivo a base di effervescenza Brioschi. In compenso potete usare la scatola per riporre gli addobbi a fine festività. Se siete ancora vivi.

L’incubo di Daniela Guaiti: la poltiglia di zucchero home made
Quando ero giovane, molto più giovane di oggi, avevo tanto tempo libero, e preparavo deliziosi regalini con le mie manine per amici e parenti. Uno dei must del Natale erano i barattolini con zollette di zucchero sotto spirito, aromatizzate in vari gusti, tipo scorze di arancia e caffè, scorza di limone, cannella e via profumando. Si servono a fine pasto, come digestivo, e si consumano con parsimonia, perché sono, ovviamente, molto alcoliche.

Quell’anno mi sono detta «diamo un valore in più a questo squisito regalino e usiamo la grappa invece dell’alcol puro». Detto fatto. Peccato che lo zucchero sia solubile in acqua. E che la grappa, a differenza dell’alcol puro (puro, appunto), contenga una cospicua percentuale di acqua. Ecco, le zollette si sono sciolte e ho ottenuto una ventina di barattolini con un poltiglioso sciroppo di grappa e zucchero. Non lo farò mai più. Giuro.

L’incubo di Giulia Salis: il tronchetto di Natale
Alzi la mano chi non si è mai trovato, a fine pasto, tra una fetta di pandoro e panettone, anche il tronchetto di Natale?! Fortunati se questo per voi è ormai un lontano ricordo. Per me continua a essere il mio presente. Non c’è Natale, infatti, che mia madre e mia sorella non lo acquistino, da pasticcerie improbabili che, anno dopo anno, proseguono con questa tradizione, che io invece trovo aberrante. Ciuffi di panna, mista a zucchero, decorazioni kitsch, che guai a mangiarle che poi bisogna correre dal dentista. A casa mia poi ce ne sono sempre in gran numero: uno per la vigilia, uno per il 25 e anche per Santo Stefano. Che fai? Non onori la trinità con il numero perfetto?

L’incubo di Linda Mambelli: i datteri, con dentro il mascarpone, con dentro la mandorla
La tradizione famigliare natalizia voleva che alla tavola della vigilia, o a quella del Natale, anzi a tutte e due per non sbagliare, fossero servite tredici pietanze. Auguri. Alcune ricette richiedevano ore se non giorni di preparazione: producevano risultati sopraffini, autentiche delizie, ma bisognava ingegnarsi nel trovare soluzioni di elevato valore natalizio ma di minor impegno per raggiungere il fatidico numero.

A un certo punto mia nonna, per la quale il valore natalizio era una questione direttamente proporzionale al conteggio calorico, ebbe l’idea di sfruttare la praticissima ricetta suggerita da una parente o vicina di casa: prendere dei datteri, belli grossi, inciderli per il lungo, togliere il nocciolo, farcirli di mascarpone – nudo e crudo – e inserire pure una mandorla, che simulava simpaticamente il nocciolo estratto. Io bambina golosa non vedevo l’ora di assaggiare questa nuova delizia e ricordo ancora la sensazione dopo aver mangiato il primo fagottino: troppo, troppo anche per me. Lei ne preparò un buon numero e li mise in ordine concentrico in un bel piattino dorato, la cosa in famiglia piacque e fu anche replicata nei Natali a seguire, ma io credo di non averne mai più mangiato neppure uno.

L’incubo di Anna Prandoni: lo spumante del super – rigorsamente brut – con il panettone
Natale, a casa mia, è da sempre e per sempre una fotocopia. È tipo il Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla. Anche gli orari in cui si fanno le cose sono cadenzati dalle tradizioni familiari, quindi è abbastanza improbabile restare sorpresi. Si discute delle stesse cose, si mangiano le stesse cose – e guai a cambiare menu – ci si arrabbia tra le stesse persone, mentre le solite altre fanno da pacieri. Insomma: la tipica festa comandata della tipica famiglia italiana.

Le cose, per me, si complicano solo al momento del panettone (che si mangia rigorosamente scaldato – sul calorifero se no si secca – e abbondantemente cosparso di creme al mascarpone – non troppo fredde, mi raccomando, toglile dal frigo un po’ prima). Ormai sfatti dal cibo, e dalla conversazione che a quel punto mediamente cade sui parenti non presenti per fare il conto di chi c’è ancora, di chi è partito, di chi ha sposato o lasciato chi, arrivano i bicchieri dell’antipasto che qualcuno (io) ha lavato e asciugato. «Per me spumantino, brut». È l’unico momento dell’anno in cui litigo con mio padre, che immancabilmente finge di dimenticarsi che lavoro faccio e si ostina a sottoporci a questa pratica barbara. Resisterò, anche quest’anno, aprendomi e versando solo nel mio calice un Sauterne. Il dio degli abbinamenti me ne renderà merito.

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