Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia con un breve passato nel Movimento 5 Stelle, da presidente della Commissione Lavoro della Camera è diventato il volto e il nome della maggioranza guidata da Giorgia Meloni nella battaglia contro il salario minimo a nove euro l’ora proposto dalle opposizioni (esclusa Italia Viva).
Sulla sua scrivania ha il testo dell’emendamento, a sua prima firma, che con due articoli ha affossato la proposta di legge di Partito democratico, Cinquestelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Più Europa e Azione, dando delega al governo di intervenire entro sei mesi per assicurare ai lavoratori non un salario minimo ma una «equa retribuzione».
Il governo ha detto di no al testo delle opposizioni, ma non ha ancora pronta un’alternativa. E per questo ha preso tempo fino all’estate del 2024, su per giù, per arrivare un pacchetto di norme che mirano ad alzare i salari degli italiani, puntando sui contratti collettivi più applicati in modo da garantire una «retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall’articolo 36 della Costituzione».
Nell’annosa diatriba tra salario minimo e contratti collettivi, il governo di destra punta sui secondi. Come del resto hanno fatto a lungo i sindacati, compresa la Cgil di Maurizio Landini, diventato oggi uno dei maggiori sostenitori del salario minimo. La lotta contro il lavoro povero, tema cavalcato a sinistra ma molto sentito anche nell’elettorato di destra, come Meloni ben sa, è stata così sottratto alle opposizioni. Con Giuseppe Conte che a Montecitorio ha strappato platealmente il fascicolo della proposta di legge di cui proprio lui era primo firmatario.
Nella delega al governo – in linea con il parere strategicamente chiesto al Cnel di Renato Brunetta – non si parla più di salario minimo, né viene indicata una paga minima oraria. Eppure, proprio Rizzetto, quando era all’opposizione, nel 2019 aveva presentato un progetto di legge intitolato “Istituzione del salario minimo orario nazionale”. Allora i sindacati erano contrari.
Rizzetto, avete cambiato tutti idea?
No. La norma presentata nel 2019 riguardava quella parte del mercato del lavoro escluso dalla contrattazione. Allora come oggi, sono convinto che coloro che non sono coperti dalla contrattazione collettiva devono esserlo. Quindi l’idea non è cambiata e anzi la rivendico. Puntando a rafforzare i contratti collettivi più applicati, nella scrittura della delega al governo abbiamo rilanciato esattamente questa idea.
La commissione sul lavoro povero istituita dall’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando proponeva una sperimentazione del salario minimo nelle aree del mercato del lavoro meno coperte dai contratti. Non si poteva almeno tentare questa strada?
Secondo me, il ministro Orlando dopo aver letto il testo dell’emendamento che abbiamo presentato è entrato un po’ in confusione. Noi facciamo molto di più rispetto a quello che lui aveva teorizzato. Dico teorizzato non a caso. Negli ultimi sette-otto anni al ministero del Lavoro ci sono stati Di Maio, Catalfo e Orlando. Ma nessuno di loro ha mai calendarizzato nelle Commissioni competenti una proposta del genere.
Secondo lei perché?
Sicuramente perché tutti i sindacati allora erano contrari. C’è una bellissima intervista di Landini fatta a La7 qualche anno fa dove lui si scaglia contro l’istituzione del salario minimo. Oggi ha cambiato idea. Cambiare idea è un passaggio intelligente, ci mancherebbe. Ma probabilmente avrebbe dovuto applicare queste nuove idee che lo pervadono anche quando qualche mese fa ha rinnovato il contratto della vigilanza privata. Landini non ha proposto i nove euro lordi all’ora ma ha sottoscritto il contratto a 5,20 euro l’ora.
Cosa proponete quindi come alternativa al salario minimo contro il lavoro povero?
Quando noi parliamo di estendere i contratti più applicati, parliamo della buona contrattazione collettiva sia da parte sindacale sia da parte datoriale. Spesso ci sono contratti datoriali che sono più applicati ma che probabilmente non sono proporzionalmente più rappresentativi, eppure sono già sono nell’alveo dell’ottima contrattazione collettiva. Il rischio è che, se la parte datoriale applica già una buona contrattazione a 12-13-15 euro l’ora, con il salario minimo venga abbandonata la contrattazione per abbracciare una legge partorita dalle Camere sui nove euro l’ora, abbassando così i salari. Questo è un rischio che non possiamo correre oggi. Ed è una criticità che illustri giuslavoristi ci hanno riferito in commissione nel lungo periodo di audizioni che abbiamo svolto.
Qualche esempio?
L’ex ministro Cesare Damiano, il professore Alessandro Bellavista, ordinario di diritto del lavoro all’Università di Palermo. E poi Donata Gottardi, che insegna diritto del lavoro all’Università di Verona e Michele Faioli dell’Università Cattolica. Questi esperti hanno espresso criticità in merito all’applicazione del salario minimo ed erano orientati verso un rafforzamento della contrattazione collettiva.
Ma nei Paesi che hanno introdotto il salario minimo le retribuzioni non si sono abbassate.
Non è vero che non è mai accaduto. Ad esempio, nel sistema spagnolo, ci sono stati degli anni in cui è successo. Però, attenzione, quando si parla di altri Paesi che applicano il salario minimo, quasi sempre si parla della Germania. Ma la Germania attualmente ha il cinquantuno per cento di copertura della contrattazione collettiva. La direttiva dell’Unione europea sul salario minimo va esattamente in questa direzione dicendo che laddove non esiste una contrattazione collettiva almeno dell’ottanta per cento, si deve inserire il salario minimo. L’Italia supera il novanta per cento di copertura della contrattazione.
Però non si può certo dire che la contrattazione collettiva nel nostro Paese funzioni.
Certo, non è tutta valida e virtuosa e soprattutto va rinnovata. Ci sono dei contratti che in Italia non vengono rinnovati da almeno dodici o tredici anni. Nella delega c’è anche un invito alle parti sociali a rinnovare la contrattazione, prevedendo formule di incentivazione per i rinnovi e sanzioni in caso di mancati rinnovi.
Questo non risolve però il problema dei famosi contratti pirata.
Rispetto a quello che il Cnel ha certificato nel parere che abbiamo richiesto, viene fuori che l’applicazione dei contratti pirata è veramente poca cosa. Parliamo appena dello 0,4 per cento dei lavoratori. Serve assolutamente incidere su questo? Sì, sicuramente. Applicare il principio della contrattazione più applicata supera di gran lunga anche il problema dei contratti pirata.
Nella legge delega si parla di spingere la contrattazione di secondo livello. Con l’opposizione che vi accusa di volere le gabbie salariali.
Attualmente la contrattazione di secondo livello è la migliore contrattazione che noi possiamo applicare, perché si fa in seno alle aziende e si adatta anche al livello territoriale. Ma non c’entra nulla con le gabbie salariali. La contrattazione di secondo livello risponde alle esigenze sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro, è una contrattazione cucita su misura alla forza lavoro, che può spingere a rilanciare i salari.
Ma in che modo pensate di incentivare la contrattazione di secondo livello?
Questa è una cosa che dovremo definire con la ministra Calderone. Oggi la contrattazione di secondo livello c’è ed è applicata. Serve forse comunicarla meglio e farla applicare meglio, però questa è una cosa che dovremo vedere direttamente col ministro.
C’è poi il tema delle gare al massimo ribasso.
Assolutamente, molto probabilmente è lì una che si nasconde gran parte dei salari molto molto bassi, soprattutto nella filiera del subappalto. Servirà capire come riuscire, anche attraverso il Codice degli appalti, come aumentare di qualche euro quei quei salari.
Quindi immaginate un intervento ulteriore sul Codice degli appalti?
Questo non lo so, potremmo anche aggirarlo senza procedere a una modifica del Codice.
La questione però è anche e soprattutto politica. Le opposizioni vi accusano, ricorrendo alla delega, di aver sottratto la discussione sui salari al Parlamento.
Nelle ultime due legislature chi governava ha proposto l’istituto della delega ben sedici volte. E poi ricordo quando Giorgia Meloni aveva proposto l’abolizione delle pensioni d’oro. La maggioranza di allora, nello specifico il Partito democratico, con tre parole di emendamento abrogò la legge. Anche lì probabilmente c’era un diritto delle opposizioni a poter dire qualcosa, ma abbiamo seguito i regolamenti. Quindi invito le opposizioni a seguire i regolamenti perché la nostra delega sta nell’alveo della democrazia parlamentare, come loro hanno fatto molte molte volte. Dopodiché, ricordo che il Parlamento coinvolto quasi per un anno con decine e decine di ore di audizioni sul salario minimo. La verità è che la sinistra pensava che fosse un argomento di loro esclusiva competenza, per questo si sono innervositi. Il confronto poi ci sarà nei decreti delegati e il Parlamento farà sentire la sua la sua voce con dei pareri che saranno di fatto vincolanti nei confronti del governo, quindi ci sarà ancora un’ampia discussione sul tema.
Quando arriverà quindi la legge?
Entro sei mesi da quando il Senato approverà il testo, cosa che accadrà a inizio 2024. Quindi sarà approvata entro l’estate, ben prima di quando la proposta delle opposizioni avrebbe preso vita, ovvero nel novembre 2024. Tra l’altro con delle coperture finanziarie inesistenti, perché avrebbero rimandato a un fondo potenziale della prossima legge di bilancio, cosa che sulla base dell’articolo 81 della Costituzione non si può fare.
Il Pd però ha riaperto la petizione per chiedere il salario minimo, che aveva già raccolto cinquecentomila firme. E annuncia una proposta di legge popolare.
Al netto della simpatia che Schlein mi fa, ritengo che l’estate militante della segretaria non è andata benissimo. Se volesse intraprendere anche un inverno militante, staremo a guardare quello che porta che porta a casa.
Italia Viva è l’unico partito che non ha firmato la proposta delle opposizioni sul salario minimo. Immaginate una collaborazione più stretta con Renzi?
Posso solo dire che Italia viva con i suoi esponenti si è comportata bene, entrando nel merito della della proposta. Mentre il resto dell’opposizione più che politica ha fatto teatro. Basta pensare a Conte che ha strappato il testo della sua proposta. Non esiste nessun campo largo con il Pd. Hanno fatto solo a gara a chi urlava di più.