Quando l’infinitamente piccolo può diventare enorme. O un fatterello un’epopea. Ci provano i ragazzi del Pd (pardon, le ragazze e i ragazzi del Pd) che esagerano sempre le loro ragioni, pur innegabili, strombazzano, strappano le vesti, strepitano, strillano e magari vogliono essere simpatici. Il Nazareno esagerato appena può si appalesa sui social, su X, imbrattandolo con presunte campagne mediatiche un po’ puerili, un po’ scopiazzate, un po’ vittimiste. Facendo di un fatto piccolo una crociata, di un evento ridicolo una tragedia. Così la nazarenica campagna mediatica di ieri ha tratto spunto dal grido del cittadino Marco Vizzardelli: «Viva l’Italia antifascista» (che in sé va benissimo) alla prima della Scala. Gli hanno chiesto i documenti, i poliziotti mandati da qualche burocrate troppo zelante – una roba da «Pum pum! Chi è? La polizia!» di Dario Fo – e hanno fotografato la patente, e poi null’altro di significativo. Apriti cielo.
C’è chi ha parlato di olio di ricino, rendiamoci conto. Altro che fratelli Rosselli, altro che Giovanni Amendola. «Identificateci tutti!», è stato l’urlo di battaglia che si è levato dal Nazareno e allora daje tutti a twittare nome, cognome, luogo e data di nascita, e abbiamo così scoperto cose grosse, tipo che Giuseppe “Peppe” Provenzano è nato 23 luglio 1982, che la gioviale Susanna Camusso è nata a Milano il 14 agosto 1955, che la capogruppo Chiara Braga è nata a Como il 2 settembre 1979, che l’abile Marco Furfaro è nato a Pistoia il 19 giugno 1980, e così via, c’era pure l’hashtag #identifichiamoci che ha funzionato abbastanza: d’altra parte X è perfetto per militanti un filino narcisisti, per nuovi partigiani che confondono la barbarie con una (ridicola) richiesta di documenti.
Queste sono le botte propagandistiche che fanno impazzire i dirigenti del Partito democratico, gliela facciamo vedere noi, «siamo tanti siamo qui/ siamo della Fgci», si gridava quando questi non erano nemmeno nati. E dunque l’antifascismo non si tocca, ci voleva Vizzardelli a ricordarlo e i ragazzi del Pd a dargli man forte contro la pula o madama che gli ha chiesto la patente, iniziativa sgangherata ma forse anche effetto di un clima sovreccitato anche dalla presenza nel Palco Reale della Scala di Ignazio Benito La Russa impettito nel suo smoking troppo stretto al quale quel grido era indirizzato.
«Non l’ho sentito», ha detto il sordo presidente del Senato che era seduto a un metro della nostra (di tutti) Liliana Segre, la sola persona che poteva sedersi dove un anno fa stava Sergio Mattarella. Che con la sua sola presenza La Russa costituisca un problema è ormai un fatto acclarato che conferma l’arrogante avventatezza di Giorgia Meloni che un anno fa lo volle sullo scranno più alto di palazzo Madama: e bisognerà sopportare l’onta fino alla fine della legislatura, non si sa quando, e ci saranno sempre grida e contestazioni all’indirizzo di chi definì il battaglione Bozen «una banda musicale». Il problema è che contro Ignazio e i suoi amici servono la politica e la cultura più che sapere quand’è nata Susanna Camusso. La tragedia che si trasforma in farsa. Tutto infinitamente piccolo.