Magari qualcuno tra gli sconsiderati che vaneggiano di “genocidio” è soltanto sconsiderato: e dunque non per malvagità e disonestà intellettuale ma solo per insipienza e povertà culturale non capisce che l’uso di quell’addebito, “genocidio”, è officiato al ruolo tradizionalmente svolto dalle tante menzogne rivolte a giustificare la persecuzione degli ebrei.
Israele, e il genocidio di cui esso si renderebbe responsabile, è il link che rimanda alle pagine di celebrazione/giustificazione del 7 ottobre, alle arringhe dell’avvocatura farlocca di marca Onu secondo cui le democrazie sono soggiogate dalla lobby giudaica, ai video delle testimonianze «depending on the context» in cui i rettori universitari spiegano che lo sterminio degli ebrei deve diventare “condotta” per essere censurabile, mentre se la cosa si limita all’istigazione è tutto ok.
Se tra quegli sconsiderati esistesse qualcuno capace di un poco di giudizio, percepirebbe la verosimile intenzione e il sicuro effetto di quell’accusa, “genocidio”: farne il contrassegno – l’ennesimo, e questa volta incancellabile – di una colpa mostruosa ed eterna, il marchio di incriminazione da affibbiare non al bavero di un imputato ma alle ambizioni di esistenza di chiunque ne condivida l’origine, la piega del nome, i simboli religiosi, la cittadinanza, qualsiasi cosa che in qualsiasi modo senta di ebraico.
Salva una condizione (ed è questo il profilo super-razzista della faccenda, anche questo puntualmente inavvertito): salvo, cioè, che il contrassegnato pieghi la schiena e, dopo aver ammesso di aver ucciso dio, dopo aver ammesso di aver rubato la terra altrui, dopo aver ammesso di essersi insinuato nelle banche, in Big Pharma e a Hollywood, dopo aver ammesso che il 7 ottobre non viene dal nulla, ammetta finalmente di appartenere a una stirpe oltretutto genocida. Il contrassegnato che magari non merita propriamente, ma deve pur accettare (pentito, d’accordo, ma è pur sempre ebreo, no?), la comprensibile reazione al delitto maestoso che in qualche modo gli è riferibile, il “genocidio”: a petto del quale bisogna pur mettere nel giusto contesto le bombe nei ristoranti e alle fermate del bus, le sinagoghe incendiate, i cimiteri devastati, le scuole e gli aeroporti e gli alberghi in cui si pratica la disciplina un po’ rustica ma dopotutto non così tremenda della caccia all’ebreo.
Perché questo, se finalmente siamo capaci di contestualizzarlo, non può non essere riconosciuto: lo studente massacrato di botte perché ha una bandiera è uno studente, d’accordo, ma quella è la bandiera dei responsabili del genocidio; il bambino preso a sassate è un bambino, d’accordo, ma porta lo stesso copricapo che tiene in tasca il soldato dell’esercito genocida; la ragazza presa di mira per strada è una ragazza, d’accordo, ma la stella di David che porta al collo è la stessa che sventola sui tank del genocidio. Siccome ormai è come una svastica, non ci si stupisca se poi succede quel che succede.
Ecco dunque che cos’è, prima che infondata, prima che arbitraria, prima che contraffattoria, l’accusa di genocidio: è razzista, adempie a uno scopo razzista ed è adoperata a giustificazione della retorica e della pratica razzista.
E soprattutto (al solito): non serve alla causa che pretesamente vorrebbe difendere e non serve alla ricerca e alla sanzione delle responsabilità israeliane, che certamente ci sono e sono gravi, ma sono altre.