A tutti quelli (ed erano tanti) che le proponevano di scrivere un libro di ricette per i bambini Iolanda Minoli rispondeva di no. «Perché – diceva – non si può generalizzare, non si possono dare da mangiare le stesse cose a un bambino nato a termine o a un prematurino, a un bambino nato al mare o in città, nato in giugno o in gennaio». La madre della neonatologia italiana è morta lo scorso dicembre. La piangono quei ventimila bambini che sono diventati grandi grazie alle sue cure. Cure che passavano anche e soprattutto dal cibo, a partire dal latte materno per arrivare a quelle pappe pensate e calibrate appositamente per ognuno dei suoi piccoli pazienti, capaci di far crescere anche i bimbi più piccoli, bimbi piuma, nati prima del termine.
Una vita al servizio dei bambini
Ma chi era la professoressa Iolanda Minoli? Medico, libero docente in puericultura, specialista in pediatria, primario emerito di terapia intensiva neonatale, esperto del consiglio superiore di sanità del Ministero della Salute, consulente del Rockfeller University Hospital di New York, consulente per la medicina perinatale dell’Ospedale Universitario San Giuseppe Fatebenefratelli, commendatore della Repubblica, premiata a Washington sul Sequoia, lo yacht presidenziale. Ma non bastano i titoli e i riconoscimenti a raccontarla.
Negli anni dei grandi scandali della Sanità lei spendeva il suo patrimonio familiare per comprare gli strumenti e i macchinari più utili per il suo reparto di pediatria neonatale. Altri rubavano. Lei regalava. E prima ancora donava tutta sé stessa, tutta la sua vita alla professione e ai suoi bambini. A mantenere viva la sua memoria rimane la sua fondazione, dedicata all’assistenza dei bambini prematuri e alla ricerca per renderla sempre più efficace.
Nata a Milano nel 1930, figlia di un pioniere dell’aviazione, compagno di Francesco Baracca, aveva scelto da subito la via della medicina e, come il padre, voleva precorrere i tempi e raggiungere risultati di vertice. Una laurea conquistata a tempo di record, la specializzazione in pediatria e poi la scoperta della neonatologia, dei problemi dei bambini nati prematuri e l’incontro con il professor Carl Räihä, il grande neonatologo finlandese che diventa il suo maestro.
Così Iolanda Minoli “inventa” la neonatologia italiana e diventa a sua volta maestra di intere generazioni di specialisti. Ma soprattutto diventa la “seconda mamma” di migliaia di bambini assistiti, curati, salvati e lanciati verso una vita normale: bimbi nati prima del tempo, spesso molto prima del tempo. “Scriccioli” di pochi etti di peso recuperati seguendo semplici concetti base: i prematuri – diceva – non sono bambini malati, ma bambini che devono “maturare” in modo naturale, nella culla riscaldata, in ambiente sterile, alimentati con latte umano, con qualche flebo e con il giusto apporto di ossigeno. Una ricetta semplice, se sostenuta dalla sua professionalità, dalla sua disponibilità, dal suo amore.
E lo stesso approccio adottava e raccomandava nell’assistenza ai bambini affetti da sindrome di Down, l’altra sua grande passione: l’importante, diceva, è aiutarli considerandoli sempre bambini come tutti gli altri, senza pregiudizi, senza il minimo accenno di emarginazione.
Il cibo, valore assoluto
La professoressa Minoli portò grandi novità in Italia. Tra le più importanti il riconoscimento dell’importanza del latte materno per la crescita dei bambini, nati a termine e pre-termine: «Nel latte di mamma c’è tutto quello che serve» ripeteva alle madri dei suoi piccoli pazienti. E poi a tante, innumerevoli, svolte tecniche e scientifiche, che hanno permesso a ventimila neonati di sopravvivere, di superare la fase critica, un inizio di vita in salita.
Ma non basta: tutti i bambini devono essere seguiti e nutriti nel modo giusto, un modo che la professoressa cuciva addosso a ciascuno di loro. Non c’erano omogeneizzati o farine precotte nella dieta Minoli. Perfino il riso (o il farro, o il miglio) usati per preparare le pappe dovevano essere macinati in casa. Il brodo di verdure? Niente standard: gli ortaggi cambiavano per ogni bambino, in qualità e quantità. Perfino il numero delle foglie di lattuga o delle lenticchie era contato. Inutile dire che il brodo doveva essere sempre fresco, mai congelato. Le pappe crescevano, si arricchivano e si adattavano all’età, allo sviluppo, persino ai gusti del bambino.
Chi è stato in cura dalla Minoli ricorda quei fogli sempre scritti a mano, con indicazioni millimetriche date su ogni aspetto. Alle pappe si alternavano merende e spuntini. I centrifugati (mela e carota) erano i benvenuti, mentre il frullatore era bandito: l’aria incorporata avrebbe gonfiato il pancino del piccolo, creandogli fastidi. Le mamme che portavano da lei i loro bambini ricordano «il beverone “energetico” preparato con arancia spremuta, banana schiacciata e mela grattugiata (mai frullare!), destinato a chi più aveva bisogno di vitamine», oppure il «mix di yogurt e banana» perfetto per una prematurina vicina a compiere un anno. Tutte concordano nel rievocare, commosse, quante cose la professoressa abbia insegnato loro.
C’è chi, ancora adesso che i bambini sono grandi, ogni tanto prepara «quella pastina minuscola, fatta solo con farina, tuorlo ed acqua», chi ancora si concede come una coccola le polpette di acciughe e patate, e chi, quando è a dieta, rispolvera il «piatto colorato, come lo chiamava lei, con al centro un tuorlo sodo e intorno verdure di ogni tinta, crude, a pezzetti piccoli piccoli». Piccoli piccoli, perché tutto doveva essere a misura di bimbo, per evitare ogni forzatura, ogni rischio inutile. Un’altra mamma usa ancora adesso la mezzaluna perché «la carne andava tritata, mai frullata o passata al cutter».
Mamma Marianna racconta come al suo primo incontro con la pediatra a colpirla sia stato «il suo parlare di una bebè di quattro mesi come di una persona, con i suoi difetti e i suoi pregi. E poi la sorpresa, quando abbiamo iniziato a parlare di cibo: per lei le pietanze dovevano essere anche belle da vedere. Mi ha insegnato a fare i piattini, dai quali la bimba poteva pescare mescolando secondo i propri gusti quello che le veniva proposto; ho imparato a scegliere sempre il pesce piccolo, che contiene meno mercurio, ad apprezzare i centrifugati fatti in casa, a conoscere il valore di alimenti come mandorle e miglio».
Ricordi di mamme, ma anche ricordi di fratelli maggiori, consapevoli che il piccolo di casa aveva qualche difficoltà a crescere, e che aspettavano in quell’atrio colorato e pieno di giocattoli mentre la professoressa visitava: «Pregavo che quella signora così bionda e così strana – racconta Jacopo – potesse trovare la dieta per fare crescere mio fratello. La trovò».
Ma non basta: Iolanda Minoli sapeva, e ripeteva spesso, che l’alimentazione dei primi anni di vita determina il benessere dell’adulto. L’alimentazione infantile è fondamentale per la prevenzione delle malattie dell’adulto: la salute dei grandi si ottiene nutrendo i piccoli con una dieta ricca, varia ed equilibrata, senza aggiunte di integratori, se non quando davvero necessario. «Una riga tirata su un foglio – racconta mamma Daniela – e ha cancellato decine di farmaci inutili, per darmi semplicemente la giusta dieta. Gli altri medici mi avevano detto che la mia bimba, che alla nascita pesava 780 grammi, non sarebbe mai cresciuta, che sarebbe rimasta piccola piccola, che avrebbe avuto bisogno di farmaci, di aiuti, di sostegni. L’abbiamo alimentata nel modo giusto, secondo i consigli della professoressa Minoli. Ora la mia bambina ha dodicu anni, è forse tra le più alte della sua classe, sicuramente tra le più brillanti».
Questi erano i suoi bambini. Questa è stata la sua vita. Irremovibile quando si proponeva un obiettivo, incapace di riposare, dura con sé stessa e, a volte, con gli altri, ma sempre e soltanto per il bene dei suoi “piccolini”, unico scopo di ogni sua azione. Il resto sono risultati accademici, premi e riconoscimenti internazionali. Nulla in confronto alla felicità di vedere una delle sue bimbe “premature”, che, diventata mamma, le portava il suo bambino per la prima visita di controllo.