Una bistecca e un hamburger vegetale possono ormai trovarsi nello stesso carrello. Ed è sempre più comune che sia pure la stessa azienda a produrre entrambi. In concomitanza con il veganuary, la sfida vegana di gennaio, in libreria esce “La rivoluzione dell’hamburger” (Post Editori) del giornalista Marco Panara, che ricostruisce il caso imprenditoriale di Kioene, l’azienda padovana dei fratelli Tonazzo, storici imprenditori del business della carne, che da oltre trent’anni si sono lanciati anche nella produzione delle alternative veg. Arrivando a detenere oggi il 40 per cento delle quote di mercato dei burger a base di proteine vegetali.
Industriali della carne da generazioni, dal 1988, quando vegani e vegetariani erano considerati ancora un piccolo gruppo di matti salutisti, Albino e Stefano Tonazzo hanno cominciato a investire nei prodotti a base di proteine vegetali, scommettendo su un’industria del tutto innovativa per il mercato italiano.
I puristi vegetariani o vegani storceranno il naso davanti all’incrocio tra macelli animali e stabilimenti per preparati a base di soia e legumi. Ma sempre più grandi nomi dell’industria della carne o degli affettati italiani sono ormai, come i casi di Kioene e Felsineo insegnano, dietro le quinte della produzione veg. Aprendosi così anche al palato degli onnivori desiderosi solo di consumare meno carne. Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, meglio investirci su. Persino il gigante americano della carne Tyson ha investito nel marchio Beyond Meat già nel 2016.
Anzi, per Kioene – come racconta Panara nel libro – il ricco business della carne ha permesso ai fratelli Tonazzo negli anni di investire nelle innovazioni veg, anche quando il mercato italiano all’inizio degli anni Novanta era praticamente inesistente. Com.pa Spa, la società della carne, guadagnava molto. Mentre Padoa Spa, l’azienda delle proteine vegetali, faticava e i suoi bilanci stentavano a stare in pareggio. Per 25 anni e fino a dieci anni fa, quando il settore veg ha cominciato ad attirare l’attenzione dei consumatori italiani, le carni tutt’ora prodotte dal Gruppo Tonazzo hanno finanziato la ricerca e lo sviluppo degli alimenti a base di proteine vegetali. Le due aziende per diversi anni hanno anche coabitato nello stesso stabilimento: al piano terra si lavoravano le carni e al primo piano i vegetali. Fino al trasferimento di Kioene in una struttura a sé a Villanova nel 2019.
Il racconto di Marco Panara, tra gli svariati tentativi falliti di creare un hamburger senza il cattivo retrogusto di soia, è anche un viaggio dagli albori del mercato veg fino al boom attuale, con quasi due milioni e mezzo di italiani che seguono una dieta vegetariana e quasi un milione e mezzo che hanno scelto una alimentazione vegana (dati Eurispes).
Nel 1988, quando Albino ha la sua intuizione dopo un viaggio in Brasile, nei supermercati non ci sono scaffali dedicati a prodotti senza glutine, senza lattosio o vegani. Il bio muoveva i suoi primi passi, NaturaSì era stata fondata nel 1985 e Valsoia, la prima azienda a proporre cibi a base di proteine vegetali, sarebbe nata nel 1990.
Ogni giorno Albino, uscito dal macello, andava nella cucina della casa dei genitori e faceva le sue prove. Comincia con la bollitura di soia macinata con l’olio. Ma il risultato è immangiabile. Prova ad aggiungere alloro, chiodi di garofano, cannella, soffritto, ma non funziona. Continua mischiando fagioli borlotti e cannellini, ceci e lenticchie macinati nel tritacarne. La meta è lontanissima. E soprattutto c’è un problema serio: la soia non sta insieme, bisogna trovare qualcosa che consenta di dare al prodotto una forma e una consistenza. Si prova con l’uovo, solo con l’albume, con la farina, con il pan grattato. Si prova a friggere, si prova a cuocere in forno, si prova la forma di polpetta e quella di hamburger. Ma i risultati prodotti si potevano mangiare solo per “fede” vegana, ammette. Erano hamburger e polpettine commestibili, ma non mangiabili.
Dopo dieci anni di studi e ricerche, di prove empiriche e sperimentazioni, alla fine degli anni Novanta, Padoa Spa impara finalmente a tenere insieme le proteine vegetali con il glutine e a dare ai prodotti un buon sapore con i vegetali freschi. Il prodotto c’è, ma non c’è ancora il mercato. Che in Italia ha cominciato a crescere solo dal 2010.
Nel primo trimestre del 2017 Kioene diventa leader del mercato e il suo fatturato in quell’anno sfiora 25 milioni di euro grazie alla sua specializzazione nei prodotti classic vegan, ben diversi dai meat analogue. Entrambe le categorie di alimenti sono a base di proteine vegetali, ma i prodotti classic vegan hanno il sapore dei vegetali utilizzati nella ricetta, mentre i prodotti meat analogue hanno un sapore simile a quello della carne.
La categoria meat analogue è stata alla base della diffusione delle proteine vegetali nel Regno Unito, in Germania e negli Stati Uniti, Paesi nei quali la carne è centrale nella dieta e nella gastronomia e con le proteine vegetali si è cercato di offrire un sostituto delle proteine animali che avesse il sapore più vicino possibile all’originale, magari con l’aggiunta di succo di barbabietola per far sanguinare o sfrigolare in padella anche gli hamburger veg. In Italia è avvenuto il contrario: sono più diffusi i prodotti con i sapori vegetali e questa differenza si spiega in parte con la maggiore presenza degli ortaggi nella dieta degli italiani.
Secondo l’ultimo report di Good Food Institute Europe, realizzato con dati di NielsenIQ, il mercato settore plant-based nel nostro Paese vale quasi 700 milioni di euro. Il mercato italiano è il terzo più grande in Europa per vendita in supermercati e negozi alimentari. E soprattutto è in costante crescita. Secondo le previsioni Coop per il 2024, il 69 per cento degli italiani nel nuovo anno privilegerà gli acquisti di prodotti di origine vegetale sostitutivi della carne. Solo il 31 per cento continuerà a mettere nel carrello solo prodotti di origine animale.