Molte delle crisi economiche degli ultimi anni hanno coinvolto le catene di approvvigionamento globali. La pandemia, l’invasione russa dell’Ucraina, l’aumento generale dell’inflazione, sono tutti eventi che hanno influenzato – o sono stati influenzati da – i flussi del commercio internazionale, alimentandosi a vicenda. Il nuovo anno inizia con una minaccia del tutto imprevista alla navigazione nel Mar Rosso, che ancora non ha iniziato a far pesare tutti i suoi effetti sull’economia reale.
A causa dei ripetuti attacchi alle navi commerciali da parte dei ribelli Houthi – la milizia sciita dello Yemen sostenuta dal regime iraniano – le più grandi compagnie di container-shipping mondiali hanno sospeso a tempo indeterminato il transito nello Stretto di Bab el-Mandeb; il passaggio marittimo tra il Canale di Suez e l’Oceano Indiano fondamentale per accorciare i tempi della logistica del commercio tra Europa e Asia, e a causa della siccità che ha ridotto la portata del Canale di Panama anche per i collegamenti tra l’Asia e la costa atlantica dell’America.
Inizialmente gli attacchi erano rivolti alle navi legate in qualche modo a Israele, per “punire” lo Stato ebraico impegnato nella guerra contro Hamas. Ma presto è diventato evidente che gli obiettivi vengono scelti in modo del tutto indiscriminato e nessuna nave è al sicuro. Le potenze occidentali hanno risposto schierando alcune navi da guerra. Solo che la speranza di una rapida soluzione si è infranta quando l’Iran ha inviato un suo incrociatore nel Mar Rosso dopo che gli Stati Uniti hanno distrutto tre imbarcazioni degli Houthi che stavano attaccando una nave cargo della Maersk.
Nonostante la morte di dieci miliziani – tutti giovanissimi, poco più che adolescenti –, gli Houthi non hanno interrotto i loro attacchi. Adesso le compagnie di navigazione stanno riprogrammando i loro viaggi ragionando in termini di mesi o trimestri, non settimane.
La soluzione alternativa prevede la circumnavigazione dell’Africa lungo la rotta del Capo di Buona Speranza, aggiungendo circa due settimane alla durata dei viaggi. Ciò significa che le tariffe di trasporto diventeranno più costose, sia per l’aumento dei giorni di navigazione che per la riduzione della disponibilità di navi portacontainer e petroliere, occupate più a lungo. Al costo del carburante vanno aggiunti i maggiori costi assicurativi.
Secondo la società di analisi Xeneta consultata dal Financial Times, da metà dicembre le tariffe per l’imbarco di un container standard da quaranta piedi per la rotta Shangai-Rotterdam sono più che raddoppiate, salendo a tremilacento dollari, da millequattrocento dollari. Le grandi navi trasportano tra i dodicimila e i ventiquattromila contanier. A essere dirottati sono beni di consumo e prodotti alimentari di ogni tipo, materie prime, gas naturale liquefatto, petrolio greggio e prodotti raffinati come il diesel e il carburante per gli aerei.
In base alle stime della società di analisi Braemar, il viaggio dal Medio Oriente all’Europa di una petroliera con un carico diesel da ottantacinque milioni di dollari ora costa circa cinque milioni di dollari, quasi due milioni in più rispetto al periodo precedente all’inizio degli attacchi.
Per l’Italia e gli altri Paesi del Mediterraneo il blocco del Canale di Suez significa anche l’eliminazione della centralità del Mare Nostrum, che nella geografia delle rotte che passano per il Capo di Buona Speranza smette di essere un passaggio obbligato, penalizzandone gli hub portuali, in particolare dell’Adriatico. Tutto ciò dovrebbe portare a un aumento dei prezzi finali per i consumatori, ma ci vorrà qualche settimana prima che gli effetti inizino a manifestarsi.
Tuttavia, il contesto economico dell’attuale sconvolgimento del transito nel Mar Rosso è molto diverso rispetto a un evento paragonabile di marzo 2021, quando il Canale di Suez si bloccò completamente a causa dell’incagliamento della nave portacontainer Ever Given.
All’epoca le catene di approvvigionamento globali erano sotto pressione a causa della forte domanda di beni dopo il periodo dei lockdown, a fronte di una produzione industriale e una logistica che non riusciva a soddisfarla. La Ever Given venne disincagliata in sette giorni, ma ci vollero diversi mesi per recuperare l’effetto a catena dei ritardi accumulati dalle oltre quattrocento navi rimaste in attesa per una settimana tra il Mar Rosso e il Mediterraneo.
Oggi invece i consumi di famiglie e imprese stanno rallentando, e con essi i volumi del commercio. Infatti, sebbene nelle ultime settimane i costi del trasporto merci e degli idrocarburi siano aumentati, restano ancora significativamente inferiori rispetto a due anni fa.
Molto dipende da quanto sarà forte la ripresa dell’economia globale dopo l’allentamento della stretta finanziaria delle banche centrali, che in caso positivo potrebbe esercitare una pressione al rialzo sull’inflazione.
Dal punto di vista geopolitico invece il pericolo maggiore è che la minaccia si allarghi. Gli Houthi non sono isolati e prevedibili come le azioni dei pirati della Somalia nel vicino Golfo di Aden: la milizia sciita si muove per ragioni politiche, non economiche, all’interno di un’azione di destabilizzazione manovrata dal regime iraniano. Teheran nega ogni coinvolgimento, affermando che, pur facendo parte del cosiddetto “asse della resistenza”, gli Houthi agiscono per conto proprio.
Ma gli iraniani hanno respinto anche le richieste occidentali di fare pressione sulla milizia affinché ponga fine agli attacchi nel Mar Rosso. Gli Stati Uniti e gli alleati per ora stanno evitando una risposta più assertiva, come colpire le strutture militari Houthi direttamente nello Yemen, ma nessuno può prevedere con certezza cosa accadrà nei prossimi mesi, così com’era difficile prevedere che la guerra nella Striscia di Gaza avrebbe portato al blocco della navigazione nella principale rotta tra Europa e Asia.