Se la premier estone Kaja Kallas, liberale appena finita nella lista di proscrizione del Cremlino, dovesse decidere di lasciare Tallinn per diventare la nuova Alta rappresentante Ue e Radosław Sikorski, popolare, dovesse fare le valigie dopo una manciata di mesi da ministro degli Esteri polacco per l’inedito posto di commissario alla Difesa, tra qualche mese la power couple della politica estera e militare Ue potrebbe arrivare in tandem dall’Est del continente. E ciò sarebbe, inevitabilmente, una buona notizia per il sostegno Ue a Kyjiv e per la prospettiva europea dell’Ucraina. L’ultima volta che il nome di Sikorski aveva preso a circolare con insistenza nei palazzi di Bruxelles era il 2014. Un altro mondo, un’altra Europa.
Al di là dell’Oceano, Barack Obama era nel pieno del secondo mandato alla Casa Bianca, dopo la facile e prevedibile vittoria contro Mitt Romney (avercene di repubblicani abbottonati e pettinati, di questi tempi); l’Ue, invece, si preparava al secondo valzer di poltrone dopo la mezza riforma del Trattato di Lisbona. Sikorski, allora, era stato lanciato da Varsavia come candidato per la poltrona di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, incarico che rientra fra i cosiddetti top job, cioè i ruoli apicali dell’Unione, ma che nel 2014 rimase al centrosinistra, rivendicato da Matteo Renzi per l’esponente del Partito democratico Federica Mogherini.
Nel mezzo, ci sono stati dieci anni di uragano Trump e terremoto Brexit, fino all’invasione russa dell’Ucraina e al risveglio dal sonno profondo della “Bella Addormentata”, il nickname che la politica di difesa per l’Europa unita si è guadagnata sul campo (il copyright è di Jean-Claude Juncker). Esattamente come allora, Sikorsi è, dallo scorso dicembre, il ministro degli Esteri della sua Polonia (il primo viaggio ufficiale, naturalmente, è stato a Kyjiv), in quota al centrodestra di Piattaforma civica, che esprime pure il premier europeista Donald Tusk.
Negli anni trascorsi lontano dal governo, all’opposizione degli ultranazionalisti del PiS, Sikorski ha messo radici nell’Europarlamento, tra i cui banchi è stato, tra 2019 e 2023, presidente della delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti. Proprio il filo diretto con Washington è una delle credenziali più spendibili per un rapido ritorno del polacco a Bruxelles, a maggior ragione se Ursula von der Leyen, che con la Casa Bianca di Joe Biden ha costruito negli anni una certa sintonia, dovesse fare il bis come presidente della Commissione Ue. La riconferma della tedesca a palazzo Berlaymont, tuttavia, innescherebbe un parziale effetto domino nella spartizione dei top job che si aprirà dopo la chiusura delle urne delle europee del 6-9 giugno: se la casella di punta della Commissione andrà nuovamente a lei, esponente dei popolari del Ppe, questi non potranno indicare il successore del socialista spagnolo Josep Borrell quale Alto rappresentante, di fatto il capo della diplomazia Ue.
Ecco che per Sikorski si aprirebbe un piano B che tanto B non è, corre voce a Bruxelles: la creazione ad hoc di un posto di commissario europeo alla Difesa, una prima assoluta per un ruolo che finora non è mai esistito in seno all’esecutivo Ue, dove siede un membro per ciascuno dei Ventisette Paesi Ue. Se ne parlerà, prevedibilmente, a margine della Munich Security Conference, la “Davos della diplomazia” che comincia oggi, venerdì 16 febbraio, perché la scelta implica una decisione politica non da poco. Ma anche un messaggio chiaro, tanto in Russia quanto negli Stati Uniti: l’Europa non indietreggia e, semmai, è pronta a fare da sé e a farsi carico della responsabilità continentale nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero tornare preda del sonno della ragione, rapiti dalle sirene dell’isolazionismo trumpiano.
Dal 2021, dopotutto, la Commissione Ue conta già nella sua struttura amministrativa una direzione generale che si occupa di Difesa e Spazio (l’equivalente, in sostanza, di un dipartimento ministeriale), la DG Defis. La titolarità è, oggi, in capo a Thierry Breton, il commissario all’Industria e al Mercato interno, ma unicamente per i suoi profili industriali legati alla manifattura di armi e munizioni e all’innovazione tecnologica; una circostanza attorno cui ha preso forma lo slogan «Buy European», per orientare la (crescente) spesa militare Ue a sostegno delle aziende del continente, e che vede adesso rilancirea la creazione di nuovo debito Ue sotto forma di bond per finanziare la difesa comune.
Con un commissario dedicato alla Difesa, però – e magari pure uno con un profilo di provata fede transatlantica e in primissima linea a fianco dell’Ucraina quale Radosław Sikorski –, il risveglio incantato della “Bella Addormentata” sarebbe anche un salto di qualità politico per l’Unione. A cui affiancare un rinnovato ruolo per l’Alto – anzi, Alta – rappresentante. Kaja Kallas non è solo un’ex europarlamentare, al pari di Sikorski (il che potrebbe valere loro una facile conferma da parte degli ex colleghi dell’Eurocamera), ma è pure la leader pro-Kyjiv (rieletta un anno fa) più in vista tra i Ventisette capi di Stato e di governo che siedono nel Consiglio europeo. Un nome di peso e di spicco che invierebbe un segnale inequivocabile alla Russia: Bruxelles fa sul serio.
Schierando alla guida della macchina diplomatica non solo colei che non perde occasione per ricordare a tutti come «la Russia non sia cambiata» dalla notte in cui, settantacinque anni fa, deportò in Siberia la nonna e la mamma ancora in fasce; ma anche quella che, oggi premier, Mosca ha appena inserito nella black list dei ricercati internazionali, accusandola di «atti ostili contro la nostra memoria storica» per la «distruzione di monumenti ai soldati sovietici» in Estonia all’indomani dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Una «mossa che non mi sorprende», ha commentato su X la stessa Kallas, ma che «rappresenta l’ennesima prova che sto facendo la cosa giusta», sostenendo Kyjiv: «Il Cremlino spera ora che questa mossa serva a mettere a tacere me e altri, ma non sarà così. Al contrario, continuerò a stare con forza con l’Ucraina» e per «l’aumento della capacità di difesa dell’Europa».
Quello di Kallas è un nome che viene spesso affiancato alla successione a Jens Stolteneberg come prima donna a diventare segretaria generale della Nato, in estate; per guidare l’Alleanza Atlantica – complice la presenza di cavalli di Troia di Vladimir Putin, dall’ungherese Viktor Orbán allo slovacco Robert Fico, senza dimenticare il turco Recep Tayyip Erdogan – potrebbe, tuttavia, avere la meglio un candidato di mediazione quale il premier olandese uscente Mark Rutte. Lasciando, insomma, in ballo Kallas come la più gettonata Alta rappresentante nel risiko delle nomine Ue, a giugno.
Non si tratterebbe solo di uno scambio tra socialisti e liberali, con i primi che esprimerebbero la presidenza del Consiglio europeo cedendo il posto di capo della diplomazia per la prima volta dopo quattro giri (con Javier Solana, Catherine Ashton, Mogherini e Borrell), ma anche di un riequilibrio geografico dei ruoli di vertice, che nell’ultimo quinquennio hanno ruotato attorno alla sola Europa occidentale, lasciando l’Est a bocca asciutta.
Nonostante il grande capitale politico da spendere, diventato evidente dopo l’invasione russa dell’Ucraina. E che adesso verrebbe tutto condensato in una leader carismatica che viene dall’ex blocco sovietico. Da una delle tre repubbliche baltiche, cioè, che hanno fatto per cinquanta anni esperienza dell’occupazione dell’Urss, e che non hanno mai perso occasione per mettere in guardia i partner Ue dal costante pericolo rappresentato da una Mosca con velleità neo-imperiali.