Questione di FideszLe ragioni della facile resa di Orbán nel negoziato sui finanziamenti all’Ucraina

Il premier ungherese non ha ottenuto alcuna contropartita in cambio del via libera ai fondi per Kyjiv perché sapeva che gli altri leader europei avrebbero proposto un piano alternativo e ha voluto accodarsi. Non otterrà nemmeno lo scongelamento dei miliardi per Budapest, ma il suo partito entrerà nell’eurogruppo dei conservatori di Meloni

LaPresse

Viktor Orbán non smette mai di sorprendere: mentre i diplomatici europei già si preparavano a una lunga e complicata discussione, il premier ungherese ha ceduto dopo meno di un’ora dall’inizio del Consiglio europeo di Bruxelles. E così i ventisette leader europei hanno agilmente concordato il via libera al fondo da cinquanta miliardi di euro di assistenza finanziaria per l’Ucraina rimasto bloccato a dicembre e, di conseguenza, tutta la revisione del bilancio pluriennale comunitario proposta dalla Commissione europea a giugno 2023. In una Bruxelles invasa dai trattori e da un migliaio di agricoltori in protesta davanti al Parlamento europeo, ci si aspettava una maratona negoziale, anticipata dal tentativo del presidente del Consiglio Charles Michel di portarsi avanti riunendo allo stesso tavolo Orbán, Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Olaf Scholz ed Emmanuel Macron.

Quello che sia successo nella riunione preliminare, e poi nella discussione generale, è difficile da stabilire con certezza. «Convincerlo è stato più facile di quanto mi aspettassi», ha detto alla fine di un vertice inaspettatamente breve il primo ministro polacco Donald Tusk. Il cancelliere tedesco Scholz sostiene che la persuasione sia stata invece un «lungo processo». La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni se ne intesta il merito, forte di un incontro bilaterale con il suo omologo ungherese la sera precedente: «Ho lavorato cercando di arrivare a un punto che ci consentisse di non dividere l’Europa in un momento come questo, perché abbiamo altri problemi».

Di certo c’è che Orbán, dopo aver bloccato i finanziamenti all’Ucraina al summit di dicembre, accetta senza tirare in lungo la discussione. L’unica concessione che riesce a portare a casa sono due clausole piuttosto vaghe, contenute al punto 7 delle conclusioni del vertice: una discussione annuale tra i leader europei sull’utilizzo del fondo e, se necessario, una proposta di revisione del fondo stesso da parte della Commissione europea tra due anni. Ma non si menziona nessun nuovo voto necessario per autorizzare gli esborsi, quindi il primo ministro ungherese non avrà la possibilità di esercitare il proprio diritto di veto sul tema e tenere così ancora in scacco il resto dei governi dell’Unione.

Per Orbán nessuna contropartita reale nemmeno sul punto che probabilmente gli sta più a cuore: lo sblocco dei circa venti miliardi fondi europei che spetterebbero all’Ungheria, al momento congelati dalla Commissione per le preoccupazioni sullo Stato di diritto nel Paese. Vero è che nelle conclusioni del vertice spunta un riferimento alle conclusioni di un altro Consiglio europeo, a dicembre 2020, che specificano le condizioni di applicazione del meccanismo che vincola l’esborso dei fondi comunitari al rispetto dello Stato di diritto. Ma sembra un atto dovuto, dalle scarse conseguenze pratiche, soprattutto alla luce delle parole nette della presidente della Commissione Ursula von der Leyen nella conferenza stampa finale: «C’è una legge sui fondi di coesione, una sul Next GenerationEU e una sul meccanismo di condizionalità. Queste leggi non hanno nulla a che fare con il fondo per l’Ucraina e la revisione del bilancio».

Probabilmente a mettere Orbán con le spalle al muro è stata soprattutto la postura decisa degli altri leader nel voler trovare una soluzione alternativa senza rimandare ancora la questione. Come rivelato da fonti diplomatiche di alto rango a Linkiesta, i governi dei Paesi dell’Ue erano disponibili a concordare un fondo di finanziamento per l’Ucraina pure senza l’Ungheria, anche se ciò avrebbe comportato procedure più complicate, tra cui la necessità di ratifica da parte dei parlamenti nazionali. Dunque il primo ministro ungherese ha preferito accodarsi, accontentandosi di dire ai suoi connazionali che «i soldi destinati all’Ungheria non andranno agli ucraini»: uno scenario mai nemmeno ipotizzato da nessuno all’interno delle istituzioni comunitarie. 

Il fondo per l’Ucraina sblocca il bilancio europeo
L’esito del Consiglio europeo è una grande aiuto per l’Ucraina, come dimostra la reazione alla notizia del presidente Volodymyr Zelensky: i cinquanta miliardi del fondo sono suddivisi in trentatré di prestiti e diciassette a fondo perduto e saranno ripartiti nei prossimi quattro anni. Ora il fondo da cinquanta miliardi dovrà essere negoziato con il Parlamento europeo, ma ci si attende un’approvazione rapida: il primo incontro è previsto già lunedì 5 febbraio a Strasburgo.

Il ministero delle Finanze di Kyjiv stima che il Paese avrà bisogno di 34,4 miliardi di euro di contributi esterni per finanziare l’istruzione, l’assistenza sanitaria, le pensioni e gli altri servizi nel 2024, visto che le casse statali sono dissanguate dalla spesa bellica. I 12,5 miliardi europei previsti per il 2024 sono dunque fondamentali, in attesa degli 11 promessi dagli Stati Uniti e da un prestito da cinque miliardi dal Fondo monetario internazionale. Il resto dovrebbe arrivare dagli altri alleati dell’Ucraina: Regno Unito, Norvegia, Canada e Giappone.

Ma a esultare sono anche i capi di Stato e di governo europei, che risolvono oltre alla questione ucraina il problema della revisione del bilancio pluriennale dell’Ue, da approvare necessariamente all’unanimità. Rispetto alla proposta originaria della Commissione, c’è una riduzione di oltre trenta miliardi: 64,6 invece che 98,8. Decurtati, ad esempio, i fondi aggiuntivi destinati alla gestione delle migrazioni: saranno 9,6 invece di quindici, di cui 7,6 destinati a finanziare l’accoglienza dei rifugiati e il controllo dei flussi nei Paesi extra-europei: Siria, Giordania, Libano, Turchia, Stati del Nordafrica e Balcani occidentali.

Abbastanza, comunque, perché Giorgia Meloni si dichiari soddisfatta e rivendichi l’azione dell’Ue sulla cosiddetta «dimensione esterna». La presidente del Consiglio italiana ha poi un motivo in più per sorridere sul volo di ritorno da Bruxelles: secondo quanto riporta l’Ansa, Viktor Orbán ha dichiarato che il suo partito Fidesz entrerà nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei dopo le elezioni di giugno. L’incontro notturno alla vigilia del vertice aveva, forse, anche un altro obiettivo.

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