Se, come ha giustamente notato Francesco Cundari, il realismo è diventato a sinistra un mostruoso ibrido di cinismo pratico e di intransigenza teorica al servizio di inveterati pregiudizi ideologici (contro la Nato, gli Stati Uniti, l’Unione europea o Israele), qualcosa di simile da anni accade anche nel rapporto tra la sinistra democratica dei progressisti e riformisti (Partito democratico e dintorni) e l’antipolitica post-democratica dei populisti double-face, rossi o bruni a seconda delle contingenze e convenienze (Movimento 5 stelle e dintorni). In un caso e nell’altro il realismo è la contraffazione del pregiudizio e la devozione allo status quo il viatico o il presagio di una rivoluzione immaginaria. Un guevarismo kissingeriano, secondo la perfetta definizione di Cundari.
Quindi è realistico, visto lo stallo militare sul campo e la crescente ostilità delle opinioni pubbliche occidentali, abbandonare l’Ucraina al suo destino, perché la sua vittoria e la sconfitta della Russia sancirebbero il trionfo dell’ordine atlantico e dell’unipolarismo liberale, cioè del drago insaziabile di sacrifici umani, che il San Giorgio anti-yankee deve sventrare, per liberare finalmente il mondo dalla cattività a stelle e strisce e convertirlo alla religione della vera libertà.
Allo stesso modo è realistico, visti i costi umani della reazione israeliana e il rischio di effetti a catena, annegare in una barocca complessità storico-strategica il giudizio depending on the context sul pogrom di Hamas e innalzare, in base a una contabilità oscena, prima che semplicistica, una colonna infame al genocidio dei gazawi da parte della disprezzata entità sionista, che è l’intrusa e la vera causa di tutto nel disordine medio-orientale, come ormai non ci si vergogna più di dire e non solo di pensare tra gli antisionisti «from the river to the sea». Secondo l’identica logica, è realistico prendere atto che il Movimento 5 stelle nelle sue molteplici mutazioni trasformistiche – da Casa Pound a Enrico Berlinguer – non è stata una meteora, ma si è consolidato come una presenza stabile nel sistema dei partiti, carambolata, per gli scherzi del destino, sul lato sinistro dello schieramento politico e dunque necessaria per «battere le destre».
Chi dice questo, però, dissimula nella sicumera realistica una dichiarata predilezione e non si limita a esprimere una dura e dolorosa necessità. Non pensa cioè che occorra allearsi con lo Stalin di Volturara Appula per sconfiggere l’Hitler in gonnella della Garbatella – non mi si costringa a dire che è una metafora – per poi tornare, in un secondo tempo, a fare i conti con il cattivo sopravvissuto. Pensa che l’alleanza con i Cinquestelle di Conte sia, come minimo, la riedizione della dottrina del «nessun nemico a sinistra» o, ancora più ottimisticamente, la ricomposizione di un’unità del campo progressista compromessa dalla capitolazione al riformismo neo-liberale.
Questi inflessibili realisti hanno l’idea che l’alleanza con il M5s possa rompere il sortilegio, che ha costretto la sinistra a scendere a patti con la realtà. Il realismo coniugato all’ottativo, il realismo come forma del desiderio. Come tutti i realisti ideologici anche gli epigoni demo-populisti del «tutto ciò che è reale è razionale» pensano invero che sia razionale solo il reale a misura dei loro desideri o delle loro possibilità. Non vedono quindi la verità più evidente: che la storia del nostro emisfero è segnata dallo scontro tra il sogno irrealistico dell’Unione europea e l’incubo realistico di un impero fallito due volte in settanta anni (prima la Russia zarista, poi quella sovietica), in una guerra di cui l’Ucraina è solo la prima delle vittime e delle trincee.
In questa orgia di realismo, poi, ce ne fosse uno che dica cosa realisticamente succederebbe all’Italia e all’Ue, per non dire all’Ucraina, se a Palazzo Chigi o nei paraggi comandasse uno che sulle armi e il sostegno a Kyjiv la pensa esattamente come Orbàn e al quinto mese della guerra di Putin, nel 2022, ha fatto cadere il Governo Draghi sul termovalorizzatore di Roma. Intanto, però, la vittoria di Todde in Sardegna ha riproposto accanto al refrain «uniti si vince» (per far cosa?) anche il profetismo para-storicista sul nuovo uomo della provvidenza: il gagà con la pochette da omino verde in borghese, che rimprovera Zelensky di vestire in divisa.